Zamboni-o-interview: l’appassionato che gradirebbe i Winnipeg Vipers

Tra le pieghe delle festività, ho voluto diventare una specie di indagatore del superfluo tra i pochi contatti che seguono la pagina X/Twitter legata a questo blog. Quarantuno misere anime che non hanno ben presente che pesci pigliare, quindi lanciano l’amo appena qualcuno offre dei minimi contenuti riguardanti uno sport che non viene seguito nemmeno dai parenti di chi quello sport lo pratica. Di questi quarantuno alcuni sono fissi da anni, come quando apre un centro commerciale ma te, giusto per spirito di appartenenza, continui a prendere la merce nel negozio del quartiere. Svenandoti, pagando a prezzo maggiorato ma contento di aver sostenuto una piccola realtà. Voglio vedermi così, come una piccola realtà sostenuta da poche persone. Così è, questa è la verità, ovvio che vorrei venire seguito da illustri aristocratici dello sport e scrivere giornalmente dei trafiletti su quotidiani di una certa caratura. Di questa piccola cerchia, ultimamente sono stato catturato da una persona in particolare, anche perché una delle poche che mi hanno contattato privatamente per produrre dei graditissimi complimenti. Sorpreso dall’evento, mai mi sarei aspettato delle parole a me rivolte per dei prodotti del genere, è sorto un semplice dilemma: “Se questo apprezza quello che faccio, così stupido e dettagliato nella sua inutilità, vuol dire che non è poi così differente nel modo di pensare. Contattiamolo, vediamo cosa può raccontarmi”. Credo sia importante, quasi vitale, dare voce a tutti, ogni persona appassionata a qualcosa di minuscolo ha molto da raccontare, è una convinzione che possiedo da svariato tempo. Così mi sono ritrovato a parlare con Giuseppe, poco più che trentenne ed una marcata passione nei confronti dei Winnipeg Jets.

Spiegami, inizio con il fare sempre una banale domanda: come mai segui tale sport? Cosa ti ha portato a seguire un mondo sportivo così piccolo?

Sono nato e cresciuto nella periferia milanese ed il primo ricordo hockeystico riguarda le radiocronache dei Vipers trasmesse da Radio MilanInter, telecronache che all’inizio ascoltavo per pura casualità in attesa che si iniziasse a parlare di calcio. Con il passare del tempo catturarono la mia attenzione, il merito principale fu di un telecronista bravissimo, di cui purtroppo non ricordo il nome. Parlava di disco, bastoni, linee con voce roca e passione trascinante. Per me, bambino cresciuto a pane e calcio (Kakà come Luca Ansoldi, per dire), era la scoperta di un nuovo mondo. Passa del tempo e negli anni dell’adolescenza inizio ad andare all’Agorà, con anche una certa assiduità, nonostante i gloriosi anni dell’hockey milanese fossero già tramontati. Erano gli anni in cui si vociferava di un clamoroso passaggio in KHL (qua dovrebbe esserci uno stacchetto comico, tipo due passi di tip tap ed una caduta sul palco) ma poi, alla fine dei conti, si continuava a giocare contro il Valpellice (c’è da dire che all’epoca era pure una bella squadra, si saranno offesi in Piemonte). Del risultato mi importava poco, andavo in gruppo con di amici che non avevano mai indossato un paio di pattini e ci si andava per fare casino (il famoso retaggio calcistico), bere qualche birra annacquata a buon mercato (ora devi fare un mutuo ma la birra resta annacquata).

Da Milano a Winnipeg. Due realtà completamente differenti, con le dovute proporzioni: una metropoli ambita ed una città canadese che, per i parametri loro, ha le sembianze del piccolo mercato.

La passione per l’hockey d’oltreoceano e i Jets è arrivata dopo, parecchio dopo, quasi per caso. Qualche anno fa divorai in pochi giorni La versione di Barney di Mordecai Richler (edito da Adelphi in Italia, un must), dove il protagonista, nato e cresciuto a Montreal, è letteralmente ossessionato dai Canadiens, tanto da mollare, in un episodio memorabile del libro, la propria festa di matrimonio per andare a vedere la gara decisiva di Stanley Cup (guarda il caso, si era iniziato l’articolo scherzando sui Canadiens ed ora ritornano). Quel libro mi fece scattare la molla e, approfittando del tanto tempo libero che la vita universitaria mi offriva, iniziai a seguire la NHL in maniera un filo scostante e a guardare documentari storici su quella lega (andavano molto sul game center, ora è già tanto se resta in piedi l’app). Mi imbattei per caso in questa piccola città del Canada che, fredda e piena di neve, nutriva una viscerale passione per la propria squadra di hockey (come Torre Pellice, questa è fine ironia). Vidi dei video di Teemu Selanne (una leccata ai baffi, sempre doverosa) e dei trionfi in WHA della spettacolare hot line di Hull-Hedberg-Nillson (quando gli svedesi non sapevano ancora che oltreoceano sarebbero stati considerati come pepite d’oro). Mi innamorai dello spirito working-class della gente di Winnipeg che lottò per riavere i propri Jets, nonostante lo small market che più small non si può (un sentito ringraziamento al disastro messo in piedi ad Atlanta).

Giusto per capire, perché al giorno d’oggi regna questo problema di poca attenzione e pazienza, un interesse legato agli highlights o pià maturo, più dettagliato, più viscerale?

Come già detto, sono sempre stato appassionato di storia dell’NHL, quindi il mio immaginario me lo sono costruito sia su partite contemporanee che su video d’epoca e libri. I Jets della WHA per me sono un mito (come gli 883). Da quattro anni a questa parte mi guardo il 90% delle partite, quelle che non riesco a guardare in diretta le recupero all’alba o il giorno successivo (si trapela dal profilo X/Twitter di Giuseppe, con un bel pensiero quasi giornaliero sulla squadra). Grazie a X/Twitter e Reddit sono in contatto con stampa locale e qualche tifoso di Winnipeg, con il quale sono diventato una sorta di amico di penna.

Capisco, è un legame recente quello con Winnipeg. Diciamo da quando il Milano è praticamente scomparso, con quel velo di tristezza ed ironia che ne segue. Non essendo mai stato in grado di sbilanciarmi su un vero tifo d’oltreoceano, spiegami come fai a dire: “Sì, dannazione, tifo Jets”.

E’ una cosa assurda, me ne rendo conto. Tifare una squadra a migliaia di km di distanza è paradossale e pretenzioso, contando che non ho alcun legame con quella città. Alla fine è un’appropriazione culturale eppure non ci posso fare niente, me ne sono irrazionalmente innamorato. Faccio fatica comunque a dirmi tifoso, anche perché in ogni ambito sportivo penso si debba sostenere la squadra della propria città, però allo stesso tempo non posso mentire a me stesso. Per il tempo che ci investo, con estrema passione, sono un tifoso dei Jets.

In questa estrema passione, in generale per l’hockey su ghiaccio, quali sono i tre principali elementi che cerchi guardando una partita?

  1. L’equilibrio tra ruvidezza ed eleganza. L’hockey è unico perché contiene entrambi gli elementi, amo quando sono bilanciati ed una squadra o un giocatore riesce con il suo gioco a sintetizzare gli opposti.
  2. L’alchimia di una linea o di un reparto. Se devo scegliere se guardare una partita propendo sempre per una bella squadra rispetto alla grande individualità decontestualizzata. Guardo più volentieri i Coyotes (molto belli quest’anno, nella loro completa pazzia) che Connord Bedard, giusto per fare un pratico esempio.
  3. I goalies. Per me è un ruolo splendido ed assurdo, la grande prestazione di un goalie mi esalta più di un hat-trick (più Hellebuyck e meno Scheifele, a meno che non si tratti di vincere la Stanley).

Chiudendo il libro, immaginando di sfogliare l’ultima pagina, cosa ti piace di questi Jets? Prova a convincerci nel seguire questa squadra, così esaltante negli attuali risultati.

Questa squadra non subisce più di tre reti in una partita da inizio Novembre (dentro i regolamentari), nonostante abbia uno dei peggiori penalty killing delle lega. Un risultato, quello di non prendere tante reti, merito di un lavoro difensivo di tutta la squadra, di tutte le linee. Il forecheck è eccellente, trainato da un Adam Lowry esemplare per carisma e attitudine. Offensivamente abbiamo il miglior goal differential della Western Conference e la produzione offensiva è ben distribuita in tutte le linee, pur avendo fatto a meno di Vilardi per più di un mese (appena arrivato dai Kings e con un’ottima impressione estiva) e adesso di Kyle Connor (la cosa più vicina a Gesù Cristo in questo piccolo mondo). In generale penso che sia una squadra solida, dove gli intangibles possono fare la differenza. Il cambio di mentalità è avvenuto con le firme in off-season di Scheifele e Hallebuyck (eccoli, sono tortati questi cognomi) che hanno ribaltato la narrazione del nessuno vuole giocare a Winnipeg. Wheeler e Dubois, giocatori che erano stufi di giocare a Winnipeg ed intossicavano l’ambiente, hanno lasciato spazio a giocatori che hanno subito sposato la causa.

Fine dell’intervista, torna a parlare il pirla che gestisce questo blog.

Tra parentesi, come si è potuto intuire, presenti delle istintive riflessioni di chi vuole trovare sempre un lato comico a tutto, un filo satirico. Giuseppe sembra avere una naturale e genuina passione verso tale sport, priva di quella mania di mettere tutto su un lato personale e schierarsi senza voler vedere oltre la siepe di casa. Lodevole, come la sua volontà e gentilezza nel rispondere a domande e lasciarsi andare con i pensieri. Con la speranza di aver offerto un gradevole pezzo a chi questo sport lo ama, alla prossima ed eventuale confessione di qualche altro/a appassionato/a. Il prete saluta, chiude la porta.

Nel caso si volesse parlare di Winnipeg Jets con la persona in questione, lascio il contatto di X/Twitter: @barbabep. Con la speranza di non ricevere un denuncia.

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