Meglio lo shopping che questi Washington Capitals?

Quanto successo durante le ferie, quindi la visione di una partita dei Washington Capitals, è un qualcosa che non sono stato bene in grado di digerire ed allo stesso tempo abbandonare. Per questione puramente parallele, ultimi mesi poco presenti come spettatore di questo sublime gioco. Detto ciò, alcune dinamiche si sono seguite e tra esse il viaggio travagliato di Ovechkin & Co. Un legame di simpatia mai sciolto, culminato con quella Stanley del 2018, però è dura guardare una squadra del genere pensando a quel gioco che offrì nel decennio 2008-2018. Squadra brutta da vedere, si fa fatica a restare sintonizzati dall’inizio alla fine delle gare, quindi potete ben immaginare i pensieri che sono passati in questa piccola mente durante la visione di Capitals vs Flyers, quest’ultima un’altra degna rappresentante delle cose da evitare, non visionare, nascondere nel cassetto.

Metto uno screenshot di Wizards vs 76ers, una sfida sicuramente più interessante dell’ultimo Capitals vs Flyers. Ed è tutto dire, conoscendo il valore degli Wizards.

Qua si scherza, però è stata dura portare a compimento il match. Il problema, come ho notato nel corso degli ultimi mesi, si ripete di continuo e bisogna un attimo capirne il motivo. Se con i Flyers qualche volta ci si emoziona, è pur sempre la squadra con il miglior % di PK ed in grado di fare un sacco di reti in inferiorità numerica, con i Capitals è sempre la solita storia: noia, tanta noia, errori di impostazione con estrema costanza, noia, ancora tanta noia. Lo sappiamo che è una squadra vicina alla ricostruzione e con molte assenze importanti, quindi il fatto che porta comunque a casa degni risultati è una verità che, sinceramente, mi fa paura. Mi spiego: non me ne voglia Ovechkin ma in una situazione del genere, quindi con dei risultati che arrivano ed un’aperta lotta per la post-season, si cavalca un’onda di gioco, personalmente nociva, per spremere le ultime arance senza alcun nobile fine. Volete dirmi che puntano ad un’altra Stanley? Tutto può essere, non tanti lustri fa Montreal-Philadelphia si sfidarono alle Finals di Conference con le seed otto e sette, ma scenderebbe sangue dagli occhi se i ragazzi guidati da Spencer Carbery arrivassero a giocarsi anche solo la coppa del nonno. Sarebbe bello che questi Caps iniziassero il processo di rebuilding, nutro molta curiosità in tutto ciò, però capisco che non sia possibile nella modalità più sfrontata proprio per la presenza del grande otto russo. La storia è sul varco ad attenderlo, impossibile non aiutarlo pur sacrificando alcuni anni di visione futura. Però andiamo per gradi, proviamo a spiegarci e capire il motivo per cui questa Washington non merita di essere vista.

Intrattenimento

Come già accennato varie volte in questo articolo, cogliete l’ironia, non è una squadra che intrattiene. Sembra che le partite, sia vinte che perse, vadano da una parte o l’altra senza un vero e proprio motivo se non per la noia. Mi spiego: i Caps sembrano cavalcare un’onda di gioco, perennemente piatta e priva di venti contrati o favorevoli. E’ difficile spiegare ma sembra che i risultati arrivino più in base alla reazione degli avversari, del tipo: “Non ci interessa, vincetela pure perché siete noiosi e non vogliamo contrastare questo mood. Ci interessa, ora vi smontiamo pure i mobili dell’ufficio”. Partite amorfe, almeno quelle viste da chi sta scrivendo. Ovviamente non è così, Carbery risulta competente ed in grado di avere un’idea di gioco in prospettiva, però a livello di puro intrattenimento è arduo trovare punti di incontro. Lancio la provocazione: Mantha è il giocatore esteticamente più gradevole da vedere, fate voi, brutta questa.

Mancanze

Kuznetsov è l’ultimo, a quanto pare verrà messo negli waivers e se non preso da altri, impossibile visto il peso del contratto, verrà mandato in AHL per ritrovarsi o roba del genere. Ci sono giovani interessanti e godibili alla vista, però come si può essere eccitati da un roster se mancano diversi pezzi da novanta: Backstrom, Oshie, il già citato Kuznetsov. Problemi cronici, Backstrom ormai è un ex giocatore di un altro ex giocatore e la cosa dispiace e non poco, contando cos’è stato per WSH e anche per il ruolo di centro in quanto tale. Contratti pesanti: lo svedese è a 9,2 fino al 2025, TJ a 5,75 sempre fino al 2025, il russo a 7,8 anche lui fino al 2025. Possiamo capire che sono giocatori che mangiano una grossa fetta del cap, sommati a quello che farà Ovi fino al 2026: 9,5 all’anno, meritati per quello fatto ma pur sempre di un peso troppo elevato allo stato attuale delle cose. Pezzi da novanta dell’infermeria: Oshie non fa 60 partite di RS da quattro stagioni, mentre Nicklas da ben cinque. Capisco la difficoltà nel staccarsi da certi giocatori, sia per quanto dato ma più che altro per queste continue problematiche non in grado di portare un interessato mercato verso la capitale americana. Così, in questo strano ospedale, Pacioretty ci poteva stare. Anzi, viene da dire: ci doveva stare. Ironia.

Dati alla mano

Si tratta di una squadra che non eccelle in nessun dato: superiorità numerica, inferiorità, ingaggi, salvataggi, velocità di gioco, tiri in porta e via dicendo. Tralasciando B’Hawks e Sharks, due squadre che stanno facendo un campionato parallelo, i Capitals sono i peggiori in quanto a realizzazione: 2,63 a partita, sotto ad un’Anaheim ferma a 2,67. La situazione è comica, contando che in questa strana stagione quello che fa più fatica a segnare è proprio uno dei più eccellenti marcatori degli ultimi due decenni. L’età avanza, la qualità diminuisce e questa squadra ne è la degna rappresentazione. Pur non avendo anche una delle peggiori difese, è comunque nella parte bassa e la quattordicesima meno prolifica: 3,12 subite a partita, quindi con una differenza tra fatte e subite pari quasi a -0,5. Il loro mirabolante gioco, dinamico e privo di soste, porta Wilson&Co. ad essere una delle peggiori squadre in quanto a superiorità giocate: 163 in 59 partite, meglio solo degli Sharks fermi a 144, giocate con una % di realizzazione sempre da bassa classifica con il 18,4. Cala copioso sangue dagli occhi, datemi un dispenser così posso donarlo ad altri. Tirano pochissimo: 1605 in 59 gare, poco più di 27 a partita e meglio solo dei soliti Sharks, fanno dei Caps i quarti peggiori in xG. La verità è che non subiscono poi così tanto, essendo la tredicesima squadra che subisce meno tiri e la decima migliore in quanto a xG avversario concesso, però in questo piatto gioco espresso subiscono sempre più di quello che producono. In quanto a goalie si piazza a metà classifica, con una % poco inferiore al 90 in compagnia di Calgary e Buffalo. Viene da chiedersi: “Come fanno ad essere al limite della post-season, in grado di giocarsela”? Bella domanda. Bisognerebbe andare così tanto nel dettaglio che, sicuramente, non si hanno le competenze per farlo.

Composizione roster

Chi scrive ha sempre trovato i Capitals interessanti, nel corso degli ultimi quindici anni hanno giocato così tante stagioni di qualità, proponendo spesso dell’hockey di pura gioia, però ora come ora non c’è molto di interessante. Parlo proprio di giocatori, nessuno smuove sentimenti e la provocazione precedente di Mantha non era poi così tanta campata in aria. A conti fatti, proprio per movenze e gioco di stecca, l’ex Detroit è uno dei più gustosi da vedere. Protas? McMichael? Lapierre?Alexeyev? Per carità, buonissimi prospetti ma di certo non stiamo parlando di quando a Washington i prospetti erano Semin, Backstrom, Ovechkin. Grazie al cazzo, direte, giustamente. Per le poche possibilità a disposizione si sono mossi anche bene sul mercato: Strome e Milano davanti, per quanto il primo non sia una stella ed il secondo un bottom six; il giovane e di prospettiva Sandin dietro. Niente di che, una buona base per convincere qualcuno a venire a Washington? Dubito, dovranno sperare in qualcosa da pescare nei vari draft, perché da contratti pesanti in essere non ne tireranno fuori nulla. Wilson andrà in scadenza nel 2031, 6,5 all’anno da questa estate e con la nomea di non essere un diamante per cui altre franchigie potrebbero fare i salti mortali. La nota sicuramente più positiva, contando quanto hanno cavalcato l’onda dello zoccolo duro, è che nei prossimi draft avranno quasi tutte le scelte: nel 2024 saranno senza la seconda e la settima; nel 2025 ne avranno addirittura tre al secondo giro e mancherà solo un’altra settima; nel 2026 avranno tutto a disposizione.

Chiudendo il tutto dando un colpo alla botte: è meglio se accompagnate la moglie a fare shopping al posto di vedere questi Washington Capitals.

Blue Jackets : Freddy Krueger = Capitals : Jason Voorhees

Viene da dire: per fortuna che stanno terminando le ferie natalizie, così si torna a lavorare, poiché si stanno visionando delle cose al limite del penale. Come già detto altre volte, a costo di ripetersi per l’ennesima volta, il tempo libero porta bizzarre attenzioni a chi ha una passione, una voglia di mettere la faccia dentro a piccole fessure e guardare cosa c’è dentro. Due giorni fa, perché stiamo parlando di qualcosa iniziato più di quarantotto ore fa e terminato solo in questo momento, ho voluto iniziare un percorso complicato, tortuoso, complesso: la visione di Blue Jackets vs Capitals dello scorso 22 Dicembre, partita vinta dagli ospiti della capitale ai supplementari. La voglia di guardare qualcosa del genere, così distante da una piece di Broadway, è stata dettata da un semplice fatto: non sapevo nulla della squadra residente a Columbus, per me quest’anno un vero e proprio fantasma. Nessun articolo letto, nessuna chiara idea di nuovi pezzi a roster, nessuna informazione collegata a tale franchigia. Bene, mi sono detto, facciamoci del male.

Che fosse nella parte bassa della Eastern Conference mi era chiaro, non ero così fuori dal mondo, però non avevo mai fatto caso alle molte reti subite, la squadra che subisce di più nella Eastern. La cosa buffa della partita visionata è che di fronte aveva la squadra in grado di segnare meno reti dell’intera lega, seconda solo agli Sharks. Non servirebbe nemmeno sottolineare che gli stessi Blue Jackets, in quella classifica delle reti subite, sono secondi solo agli Sharks: 82 reti fatte dai Capitals contro le 78 di San Josè; 143 subite dai Blue Jackets contro le 155 di San Josè. Due mondi che si scontrano ed avendo visto altre partite stagionali di Ovechkin&Co era qualcosa che non mi lasciava molto tranquillo, perché oltre a fare poche reti creano anche poche occasioni da rete. Infatti, guardando a fatica la partita, è risultato chiaro in più frangenti: questi Capitals continuano a giocare all’apparenza blandi, più interessati a mantenere un lineare ritmo al gioco che fare qualcosa in grado di smuovere quelle dannate partite che giocano. Sono noiosi, dannatamente noiosi. Quello che mi ha sorpreso è che i Blue Jackets giocano, a folate ma giocano. Creano, muovono il disco anche bene in zona offensiva, infatti hanno una buona dose di tiri effettuati nell’arco della stagione: 1140, tredicesimi in tale classifica. Non sono male nemmeno in realizzazione, perché viaggiano con un 10,5% piazzandosi al quattordicesimo posto alle spalle dei Bruins. Il problema è che concedono tantissimo, sono il secondo peggior reparto arretrato e sempre alle spalle dei mitologici Sharks, in quanto a tiri subiti: 1333 in 39 partite, vuol dire ben 34,2 a partita. Tanti, troppi, contando che viaggiano con una % di parate inferiore al 90. Questo sta a significare, facile da capire, che sono la squadra che subisce più reti dopo San Josè: 143, quindi arrotondando 3,7 a partita. Washington, per dire, viaggia a 2,8 reti subite a partita, stiamo parlando di quasi una in meno a partita che, guardate, è proprio quella subita da Columbus ai supplementari che ha costato la vittoria. Si fa di tutta l’erba un fascio, in questo blog si è famosi per prendere alcune statistiche come nude verità, però era per far capire la differenza. C’è da dire che i Blue Jackets navigano su pesanti assenze e nella sfida contro i Capitals marcavano assenza tre dei giocatori più pagati: Laine e Roslovic in attacco, Severson in difesa. Oltre ad altri elementi che nemmeno sono stato bene a controllare, perché mi bastavano questi nomi per scrivere robe del genere per fare contorno.

E’ stata una partita che si è portata a compimento con molta fatica, dilatandola in vari spezzoni abbastanza brevi e non superiori alla mezz’ora di visione cadauno. Non consiglio visioni simili, mettono in dubbio molte certezze. Sorrido ancora sullo scontro di statistiche tra le due squadre, provenienti da due mondi opposti: squadra con poche reti fatte vs squadra con molte reti subite, di cui abbiamo già parlato; seconda squadra più giovane della lega vs seconda squadra più vecchia delle lega; sempre per quanto riguarda i tiri, Capitals con una delle peggior % di realizzazione contro dei Blue Jackets che subiscono un’infinità di tiri. Volevo continuare con altre notizie ma ho perso il filo, si è chiusa la vena creativa. Giusto così, perché tale partita non meritava nemmeno di essere visionata.

Arriva Patrick Kane, evapora Detroit

Con tutto questo tempo libero delle festività natalizie ed una piacevole voglia di andare ad analizzare qualche dato, nel corso degli ultimi giorni mi sono perso tra hockey-reference.com, naturalstattrick.com, capfriendly.com e siti simili. Pur essendo partito senza la necessità di trovare qualcosa in particolare, dopo un paio di giorni passati ad effettuare giri di pista senza alcuna meta ho cambiato idea, effettuato un rifornimento di pensieri: “No, ora punto dritto su qualcosa”. Tante le curiosità mai ben analizzate: dei Canucks così in alto, dei Capitals che segnano così poco, una Nashville che non calcola nessuno ma non la troviamo vicino al baratro. Devo dire che questi primi mesi di stagione regolare sono stati differenti rispetto a quelli degli anni precedenti: ho soffermato lo sguardo tanto su di una squadra, quest’anno i Coyotes, lasciando da parte le consuete e costanti ricerche a largo raggio. Fermo, di fronte allo schermo, ho deciso di andare nel dettaglio su uno degli avvenimenti più importanti di questo mese di Dicembre: il ritorno sul ghiaccio di Patrick Kane.

Frame di un video pubblicato su qualche pagina legata ai Detroit Red Wings

Come sapranno pure i muri di case in cui non risiedono appassionati di hockey su ghiaccio, dopo mesi d’attesa Patrick Kane è tornato nelle lega firmando un breve contratto ed indossando la maglia dei Red Wings. Una sorpresa, niente da dire, che si è portata dietro tanta attesa ed aspettativa. Fino ad ora non ripagata, siamo pur sempre all’inizio di un nuovo rapporto, però dal suo innesto nelle linee offensive Detroit è caduta a picco: nove sconfitte nelle ultime dodici partite disputate, dove una sola delle tre vittorie è arrivata nei tempi regolamentarti. Che Detroit sia una squadra schizofrenica l’avevamo già colto nel mese di Ottobre: tante reti siglate, un gioco frizzante ed aperto quasi al fato, tanto da avere pure una delle peggiori difese. Noi stiamo continuando a vedere questa squadra come una bella sorpresa, qualcosa per cui vale la pena accendere il game center e divertirsi senza alcun fine, ma dopo l’exploit iniziale è entrata, giustamente viste le minime ambizioni, in un vortice di alti e bassi. Abbiamo già detto che viene da un periodo negativo, fatto di infinite sconfitte, ma già tra Ottobre e Novembre arrivò qualcosa di simile: otto sconfitte in undici gare disputate, periodo pareggiato con sette vittorie nelle successive otto. Potrà succedere anche adesso? Tutto può succedere con tale roster, vien da dire, nel bene e nel male. Soffermandoci sul male, si è voluto andare nel dettaglio prendendo due casi ben particolari: il primo terzo nella recente sconfitta contro Minnesota e l’insensato terzo centrale nella prima uscita di PK88 contro gli Sharks.

Vs Wild – 28/12/2023, L 6-3

Basterebbe visionare i primi minuti di questo match per capire quanto questi Red Wings non siano sul pezzo, almeno non con costanza. Sembrano essere ben consapevoli di avere lampanti limitazioni difensive, tanto da non prestare la necessaria attenzione in tutto l’arco della gara. Come a dire: se giriamo bene in attacco la giriamo a nostro favore. Una verità che può andare bene in determinati momenti di una regular season, di certo non quando le altre franchigie entrano con i pattini allacciati o solo con un minimo di feeling. Nel solo possesso iniziale, quello che porta alla rete di Boldy dopo nemmeno 40” di gioco, Detroit è in grado di perdere il disco in tre differenti occasioni: allargano male in balaustra dopo l’ingaggio iniziale vinto; liberano male sulla sinistra difensiva, sbilanciandosi e lasciando Boldy libero di fronte a Husso; una volta usciti ed entrati nel terzo offensivo, perdono quel disco che costerà caro. Quello che avviene dopo è al limite del comico se uno vedesse la partita con fare innocuo: quattro dei cinque di movimento sono nel loro terzo difensivo, con solo uno appena fuori; l’uomo di Detroit che è su quello fuori cade nel terzo centrale; Boldy allarga da balaustra a balaustra, trovando EK; cade pure il difensore che dovrebbe andare a chiudere su EK, lasciando allo svedese la possibilità di far rimbalzare il disco in balaustra e riprenderlo in zona offensiva. Quale potrà mai essere stato il risultato? A seguire un fermo immagine, grottesco quanto iconico nel suo essere:

Una situazione simile ma con buco centrale ed un Marco Rossi in solitaria per metà ghiaccio, si ripresenta poco prima del settimo minuto di gioco. Senza nessun giocatore caduto ed un Husso in grado di fare muro, sventato il pericolo. Qua si scherza, la difesa di questa squadra deve essere vista come un cinepanettone, però c’è da dire che con il passare dei minuti la fluidità di gioco dei Red Wings, pur con tutti i loro problemi, è stata in grado di prendere in mano il tempo. Trovando il pareggio e limitando Minnesota, praticamente rimasta ferma ai tanti tiri iniziali. Il risultato finale ha dato favore a quelli confinanti con il North Dakota ma chi scrive, per sua stessa ammissione, non ha visionato tutto.

Vs Sharks – 8/12/23, L 5-6 OT

Per capire con estrema cura questi Red Wings, si consiglia di visionare il secondo drittel di tale gara. Detroit veniva da sei vittorie nelle ultime sette partite disputate, di mezzo la sola sconfitta per 3-2 in casa dei Rangers, quindi cavalcava un periodo di forma veramente esemplare. Tra queste anche una vittoria per 5-2 a Boston, qualcosa di cui vantarsi con gli amici di pub e con le fringuelle che si cercava di rimorchiare. Come già anticipato ad inizio pezzo, questa fu la partita dell’ingresso in squadra di Patrick Kane. Un trauma, con il giudizio del giorno dopo, perché potrebbe essere stata la pallina che ha mandato in tilt il flipper. Per i primi 10′ non succede nulla, anzi, si rischia di esagerare con l’ozio. Arrivi quasi all’undicesimo minuto, partono i botti: San Jose pasticcia e regala la prima rete, seguita da altre tre nel giro di nemmeno sessanta secondi. Sul game center, tra la seconda e la terza rete, viene fuori tale dato: nella stagione in corso, prima in tale statistica, per ben undici volte Detroit ha segnato due reti in meno di un minuto d’orologio. Viene da sorridere che in quei sessanta secondi verrà segnato pure il terzo, per essere esatti in 51”. Rarità, quasi sicuramente, ma la voglia di andare a cercare quante altre volte è successo un avvenimento del genere trova il tempo che trova. Vedendo una cosa del genere, anche se l’avversario vale quello che vale, ti viene da pensare una cosa: “Diamine, quando girano comunque sono belli da vedere, sono elettrizzanti, poi con un Kane in più c’è da divertirsi”. Avessi mai pensato qualcosa del genere. Sopra 4-0, Detroit guadagna pure un PP di 2′. Risultato? Due reti subite in superiorità numerica, con altri rischi nel corso del tempo, e la terza appena tornata la situazione di parità e con l’avversario libero appena uscito dal penalty box. Una poesia, un avvenimento celestiale. Gente finisce in carcere per molto meno, almeno questo penso. Il resto è contorno, come la rete del 4-4 di Sturm poco prima della seconda sirena, perché il quadro è stato già dipinto. Pronto per il Peggy Guggenheim.

Non si sarà offeso il GM Steve Yzerman per questo articolo, noto ed illustre lettore di questo inutile blog. No, lui è a conoscenza del fatto che Detroit è un progetto a lungo termine, solo nelle fasi iniziali della sua esistenza. Puoi mettere un Kane in più, risultare l’attacco più prolifico della lega ma alcuni dato sono fatti per far tornare tutti con i piedi per terra: ha il sesto tetto salariale più basso dell’NHL e l’attacco, quello di cui tutti parlano e tralasciando il Perron ed il Kane della situazione, ha un’età media inferiore ai 26 anni.

Zamboni-o-interview: l’appassionato che gradirebbe i Winnipeg Vipers

Tra le pieghe delle festività, ho voluto diventare una specie di indagatore del superfluo tra i pochi contatti che seguono la pagina X/Twitter legata a questo blog. Quarantuno misere anime che non hanno ben presente che pesci pigliare, quindi lanciano l’amo appena qualcuno offre dei minimi contenuti riguardanti uno sport che non viene seguito nemmeno dai parenti di chi quello sport lo pratica. Di questi quarantuno alcuni sono fissi da anni, come quando apre un centro commerciale ma te, giusto per spirito di appartenenza, continui a prendere la merce nel negozio del quartiere. Svenandoti, pagando a prezzo maggiorato ma contento di aver sostenuto una piccola realtà. Voglio vedermi così, come una piccola realtà sostenuta da poche persone. Così è, questa è la verità, ovvio che vorrei venire seguito da illustri aristocratici dello sport e scrivere giornalmente dei trafiletti su quotidiani di una certa caratura. Di questa piccola cerchia, ultimamente sono stato catturato da una persona in particolare, anche perché una delle poche che mi hanno contattato privatamente per produrre dei graditissimi complimenti. Sorpreso dall’evento, mai mi sarei aspettato delle parole a me rivolte per dei prodotti del genere, è sorto un semplice dilemma: “Se questo apprezza quello che faccio, così stupido e dettagliato nella sua inutilità, vuol dire che non è poi così differente nel modo di pensare. Contattiamolo, vediamo cosa può raccontarmi”. Credo sia importante, quasi vitale, dare voce a tutti, ogni persona appassionata a qualcosa di minuscolo ha molto da raccontare, è una convinzione che possiedo da svariato tempo. Così mi sono ritrovato a parlare con Giuseppe, poco più che trentenne ed una marcata passione nei confronti dei Winnipeg Jets.

Spiegami, inizio con il fare sempre una banale domanda: come mai segui tale sport? Cosa ti ha portato a seguire un mondo sportivo così piccolo?

Sono nato e cresciuto nella periferia milanese ed il primo ricordo hockeystico riguarda le radiocronache dei Vipers trasmesse da Radio MilanInter, telecronache che all’inizio ascoltavo per pura casualità in attesa che si iniziasse a parlare di calcio. Con il passare del tempo catturarono la mia attenzione, il merito principale fu di un telecronista bravissimo, di cui purtroppo non ricordo il nome. Parlava di disco, bastoni, linee con voce roca e passione trascinante. Per me, bambino cresciuto a pane e calcio (Kakà come Luca Ansoldi, per dire), era la scoperta di un nuovo mondo. Passa del tempo e negli anni dell’adolescenza inizio ad andare all’Agorà, con anche una certa assiduità, nonostante i gloriosi anni dell’hockey milanese fossero già tramontati. Erano gli anni in cui si vociferava di un clamoroso passaggio in KHL (qua dovrebbe esserci uno stacchetto comico, tipo due passi di tip tap ed una caduta sul palco) ma poi, alla fine dei conti, si continuava a giocare contro il Valpellice (c’è da dire che all’epoca era pure una bella squadra, si saranno offesi in Piemonte). Del risultato mi importava poco, andavo in gruppo con di amici che non avevano mai indossato un paio di pattini e ci si andava per fare casino (il famoso retaggio calcistico), bere qualche birra annacquata a buon mercato (ora devi fare un mutuo ma la birra resta annacquata).

Da Milano a Winnipeg. Due realtà completamente differenti, con le dovute proporzioni: una metropoli ambita ed una città canadese che, per i parametri loro, ha le sembianze del piccolo mercato.

La passione per l’hockey d’oltreoceano e i Jets è arrivata dopo, parecchio dopo, quasi per caso. Qualche anno fa divorai in pochi giorni La versione di Barney di Mordecai Richler (edito da Adelphi in Italia, un must), dove il protagonista, nato e cresciuto a Montreal, è letteralmente ossessionato dai Canadiens, tanto da mollare, in un episodio memorabile del libro, la propria festa di matrimonio per andare a vedere la gara decisiva di Stanley Cup (guarda il caso, si era iniziato l’articolo scherzando sui Canadiens ed ora ritornano). Quel libro mi fece scattare la molla e, approfittando del tanto tempo libero che la vita universitaria mi offriva, iniziai a seguire la NHL in maniera un filo scostante e a guardare documentari storici su quella lega (andavano molto sul game center, ora è già tanto se resta in piedi l’app). Mi imbattei per caso in questa piccola città del Canada che, fredda e piena di neve, nutriva una viscerale passione per la propria squadra di hockey (come Torre Pellice, questa è fine ironia). Vidi dei video di Teemu Selanne (una leccata ai baffi, sempre doverosa) e dei trionfi in WHA della spettacolare hot line di Hull-Hedberg-Nillson (quando gli svedesi non sapevano ancora che oltreoceano sarebbero stati considerati come pepite d’oro). Mi innamorai dello spirito working-class della gente di Winnipeg che lottò per riavere i propri Jets, nonostante lo small market che più small non si può (un sentito ringraziamento al disastro messo in piedi ad Atlanta).

Giusto per capire, perché al giorno d’oggi regna questo problema di poca attenzione e pazienza, un interesse legato agli highlights o pià maturo, più dettagliato, più viscerale?

Come già detto, sono sempre stato appassionato di storia dell’NHL, quindi il mio immaginario me lo sono costruito sia su partite contemporanee che su video d’epoca e libri. I Jets della WHA per me sono un mito (come gli 883). Da quattro anni a questa parte mi guardo il 90% delle partite, quelle che non riesco a guardare in diretta le recupero all’alba o il giorno successivo (si trapela dal profilo X/Twitter di Giuseppe, con un bel pensiero quasi giornaliero sulla squadra). Grazie a X/Twitter e Reddit sono in contatto con stampa locale e qualche tifoso di Winnipeg, con il quale sono diventato una sorta di amico di penna.

Capisco, è un legame recente quello con Winnipeg. Diciamo da quando il Milano è praticamente scomparso, con quel velo di tristezza ed ironia che ne segue. Non essendo mai stato in grado di sbilanciarmi su un vero tifo d’oltreoceano, spiegami come fai a dire: “Sì, dannazione, tifo Jets”.

E’ una cosa assurda, me ne rendo conto. Tifare una squadra a migliaia di km di distanza è paradossale e pretenzioso, contando che non ho alcun legame con quella città. Alla fine è un’appropriazione culturale eppure non ci posso fare niente, me ne sono irrazionalmente innamorato. Faccio fatica comunque a dirmi tifoso, anche perché in ogni ambito sportivo penso si debba sostenere la squadra della propria città, però allo stesso tempo non posso mentire a me stesso. Per il tempo che ci investo, con estrema passione, sono un tifoso dei Jets.

In questa estrema passione, in generale per l’hockey su ghiaccio, quali sono i tre principali elementi che cerchi guardando una partita?

  1. L’equilibrio tra ruvidezza ed eleganza. L’hockey è unico perché contiene entrambi gli elementi, amo quando sono bilanciati ed una squadra o un giocatore riesce con il suo gioco a sintetizzare gli opposti.
  2. L’alchimia di una linea o di un reparto. Se devo scegliere se guardare una partita propendo sempre per una bella squadra rispetto alla grande individualità decontestualizzata. Guardo più volentieri i Coyotes (molto belli quest’anno, nella loro completa pazzia) che Connord Bedard, giusto per fare un pratico esempio.
  3. I goalies. Per me è un ruolo splendido ed assurdo, la grande prestazione di un goalie mi esalta più di un hat-trick (più Hellebuyck e meno Scheifele, a meno che non si tratti di vincere la Stanley).

Chiudendo il libro, immaginando di sfogliare l’ultima pagina, cosa ti piace di questi Jets? Prova a convincerci nel seguire questa squadra, così esaltante negli attuali risultati.

Questa squadra non subisce più di tre reti in una partita da inizio Novembre (dentro i regolamentari), nonostante abbia uno dei peggiori penalty killing delle lega. Un risultato, quello di non prendere tante reti, merito di un lavoro difensivo di tutta la squadra, di tutte le linee. Il forecheck è eccellente, trainato da un Adam Lowry esemplare per carisma e attitudine. Offensivamente abbiamo il miglior goal differential della Western Conference e la produzione offensiva è ben distribuita in tutte le linee, pur avendo fatto a meno di Vilardi per più di un mese (appena arrivato dai Kings e con un’ottima impressione estiva) e adesso di Kyle Connor (la cosa più vicina a Gesù Cristo in questo piccolo mondo). In generale penso che sia una squadra solida, dove gli intangibles possono fare la differenza. Il cambio di mentalità è avvenuto con le firme in off-season di Scheifele e Hallebuyck (eccoli, sono tortati questi cognomi) che hanno ribaltato la narrazione del nessuno vuole giocare a Winnipeg. Wheeler e Dubois, giocatori che erano stufi di giocare a Winnipeg ed intossicavano l’ambiente, hanno lasciato spazio a giocatori che hanno subito sposato la causa.

Fine dell’intervista, torna a parlare il pirla che gestisce questo blog.

Tra parentesi, come si è potuto intuire, presenti delle istintive riflessioni di chi vuole trovare sempre un lato comico a tutto, un filo satirico. Giuseppe sembra avere una naturale e genuina passione verso tale sport, priva di quella mania di mettere tutto su un lato personale e schierarsi senza voler vedere oltre la siepe di casa. Lodevole, come la sua volontà e gentilezza nel rispondere a domande e lasciarsi andare con i pensieri. Con la speranza di aver offerto un gradevole pezzo a chi questo sport lo ama, alla prossima ed eventuale confessione di qualche altro/a appassionato/a. Il prete saluta, chiude la porta.

Nel caso si volesse parlare di Winnipeg Jets con la persona in questione, lascio il contatto di X/Twitter: @barbabep. Con la speranza di non ricevere un denuncia.

Costante blackout da appassionato tra stagioni

Periodo strano quello di Dicembre, sempre stato per chi sta battendo a tastiera. Dovrebbe essere il mese perfetto, quello bramato e sognato per chi segue tale sport: le temperature si abbassano, si puó andare a pattinare in qualche pista preparata per l’occasione e allo stadio percepisci quel primo freddo figlio di momenti caldi della stagione. No, per chi scrive è sempre stato vero il contrario: a Dicembre si spengono le luci, si affusca l’interesse, questioni secondarie diventato improvvisamente primarie e si iniziano a produrre alcuni buchi sull’abbonamento. Da anni mi sto ponendo sempre la stessa banale domanda: “Perché succede tutto ció“? La veritá è che una risposta non riesco a trovarla, ho trovato la finta convinzione in un intricato ragionamento: nelle stagioni atipiche, quindi quelle autunnali e primaverile, tale sport necessita di essere accompagnato; nella stagione del suo habitat naturale, quindi quella invernale, cammina con le proprie gambe. Come quando fai andare in bici il tuo piccolo figlio, ad un certo punto risulti di troppo nel tenerlo e non farlo andare da solo.

Che sia la veritá? Dubito, perché questo costante distacco, anno dopo anno, risulta tanto strano, inconcepibile e straniante pure per qualcuno che dell’imprevedibilitá fa una ragione di vita. Sará che con il freddo si tende a cercare dei libri o un comodo divano per vedere un lungometraggio impegnato, peró stando a questo ragionamento basterebbe mettere NHL.tv e godersi lo spettacolo. No, si stacca la spina, torna la voglia di collegarla dopo qualche settimana. Ora, mentre scrivo questo pensiero, sto guardando l’ultimo periodo di Arizona contro San José. Sono tornato, direi, questa è una vera e propria prova di fede, contando di che franchigie stiamo parlando. Invece è una visione scollegata, piú di sottofondo, perché sto scrivendo queste righe di getto, senza tanto pensarci. Veramente, è qualcosa di inconcepibile. Pochi giorni ed inizierá la Spengler Cup, un torneo cosí pieno di storia ed attrazione emotiva che difficilmente non scuote l’animo dell’appassionato. Tornerá la foga visiva, la voglia di controllare qualsiasi statistica al fine di immagazzinare inutili dati per scrivere inutili articoli in questo inutile blog. Come sempre, come ogni anno, solo che questo anno tale pensiero è stato condiviso.

How I Met Your Perry?

Avendo una forte dose di ironia per qualsiasi tipo di cosa che gravita nella mia zona, perennemente in stand-by ed in attesa come una cimice, potete ben intuire che quando escono notizie come quella riguardante Corey Perry e l’organizzazione dei Blackhawks tendo a sospendermi da terra, allargare un bel sorriso e preparare i pop-corn per godermi lo spettacolo. Non è una questione di moralità assente, anche se alle volte mi chiedo se ne possiedo veramente poca e di scarsa qualità, però queste storie mi strappano sempre un sorriso per la banalità con cui escono. E’ come se qualcuno lanciasse un raudo in mezzo ad una folla, durante una festa di compleanno, e poi arrivasse qualcuno a dire che non era un raudo. Il raudo sarebbe la presunta relazione amorosa, la festa di compleanno la presenza del futuro talento generazionale a roster e quel qualcuno il GM con la conferenza stampa. Lungi da me dire che questo o l’altro ha ragione, che la verità sia quella uscita tramite i rumors o quella che vuole far passare la dirigenza della società, l’interesse è veramente nullo su questo punto. Non lascerò commenti del tipo: “Merda, non doveva farlo”. Oppure: “Merda, grande, idolo”. Ridicoli, cosa serve? Però mi preme analizzare due possibili scenari, poiché tutto ciò non può strappare delle risate. Suvvia, sorridete.

Scenario con scopata annessa

Appena uscita la notizia, dubitavo su questo rumor. Era forte, molto bello da chi l’aveva inventato, questo pensavo. Molto bello, bellissimo, sadico nella sua ilarità. Poi, noto che la dirigenza non dice nulla e nella conferenza stampa di molte ore dopo non offre grosse spiegazioni, sembrava quasi una smentita di qualcosa di cui non avevano voglia di parlare. Quindi, penso: “Diavolo, potrebbe essere tutto vero”. Partendo da questo punto, la piccola e stupida mente che possiedo ha iniziato a viaggiare e dopo pochi secondi ha legato due cose: madre di Bedard+Perry con Barney+HIMYMother. Risate, in completa solitudine, però effettivamente Perry possiamo considerarlo un sosia di Barney. Non capisco il motivo di tutto questo avvenimento, nel caso sia effettivamente avvenuto, ma da tutte due le parti in questione. Sì, perché per ora ho letto di Perry, di cosa ha fatto Perry, di come ha fatto questo o quest’altro Perry, ma nessuno della madre di Bedard. No, perché per me risulta la verità più simpatica di tutte. Lei, me la immagino, con il figlio appena entrato in NHL e pronto a diventare la futura stella della lega, dopo nemmeno due mesi di stagione regolare cede al fascino di Corey Perry. Ora parliamo di due mesi, magari è successo dopo due settimane. Il fatto che il veterano fosse stato portato a Chicago per offrire una via da seguire, beh, bellissimo, non serve aggiungere altro.

Scenario con altro di grave

Kyle Davidson, il giovane GM dei Blackhawks, nella conferenza stampa è risultato un filo impacciato, un classico americano che sembra più dire quello che gli altri vogliono sentirsi dire. Quello che risulta molto strano, contando che di mezzo c’è una possibile fake news riguardante il già citato rapporto sessuale, è che non si sia voluto dare nessun’altra informazione in grado di smontare le supposizioni. Per arrivare a questo punto, cioè nemmeno difendere la dignità del tuo futuro top prospect così ancora giovane e non in grado di difendersi da solo contro queste notizie, vuol dire che sotto c’è qualcosa di ancora più grande. Qualcosa di mastodontico, viene da dire, perché se non si vuole dire niente e lasciare in pasto alle persone una probabile menzogna siamo a livello da omicidio, rapina a mano armata, violenza sessuale e minorile. Dico io, che sono nessuno, perché per non difendere la dignità di una madre e del proprio figlio vuol dire, veramente, che nella pentola c’è merda, diarrea, poltiglia. Ovviamente, a patto che lo scenario con scopata annessa non sia veritiero. E così facendo, con questo alone di mistero e nessuna presa di posizione, vorrei lanciare una bomba più morale che effettiva: il comportamento della dirigenza non si discosterebbe molto da quello del rapporto sessuale.

Quindi, arrivati ad un punto in cui non si capisce più nulla, proprio perché ci si diverte a fare supposizioni insensate, c’è uno scenario che sarebbe migliore dell’altro?

Oltre i 70, tanto per l’Asiago quanto per Tampa Bay

Nell’azienda in cui lavoro stanno effettuando della manutenzione che mi ha concesso di stare a casa un paio di giorni, cosa a dir poco gradita ma pericolosa per la vastità di tempo libero a disposizione. Quando si presenta tale tempo libero, in periodi dell’anno freddi o comunque poco propensi a concederti giornate all’aperto in compagnia di bricolage o altro, tendo ad occupare le ore con un mix di cose utili ed inutili: lavori domestici intervallati da letture sulla criminalità organizzata; regolazione delle pastiglie della bicicletta mista a sterminio di cavallette adagiate su balconi in legno; immancabile lettura del quotidiano seguita dall’ascolto dell’ultimo album black che non si calcola nemmeno la madre di chi quell’album l’ha concepito. Ogni cervello umano macina, quello del sottoscritto fa fatica a rimanere in stand-by a fissare il soffitto o un inutile programma televisivo pomeridiano. Il pericolo del vasto tempo libero a disposizione arriva quando pronuncio tale frase: “Vado al computer a fare una ricerca”. Per chi la sente è una condanna, perché sta a significare che la mia latitanza potrebbe durare ore, giorni, settimane, forse mesi. In poche parole dovranno venire a prendermi, perché tali ricerche partono da una semplice base e finiscono con il prendere n^n strade secondarie. Alle volte mi fermo da solo, non capendo più dove cavolo mi trovo. Cose che ho già detto in passato ma sembra più che giusto ribadirlo, poiché chi proseguirà tale articolo troverà un piccolo delirio di una mente umana alla ricerca di un qualcosa di indefinito.

In questa occasione la ricerca voleva riguardare la ICE, lega in cui militano Asiago, Val Pusteria e Bolzano. Il fine era quello di produrre un secondo capitolo della rubrica “Vall(at)i di lacrime”, dedicata al percorso dei giallorossi in questa seconda annata nella lega, dato che il primo scritto batte già cinquanta giorni di vita. Contando che il grosso problema della formazione allenata da Tom Barrasso è la difesa, anche se tutto il resto dell’impalcatura è a dir poco piena di ruggine, sono andato a visionare i plus/minus dei rispettivi giocatori. Con poca sorpresa, veramente poca, ho notato che il secondo peggior giocatore dell’intera lega è un giocatore che ha avuto la C sul petto durante l’assenza di Magnabosco: Lorenzo Casetti, valore -16. Cosa sta a significare? Che con lui in campo è una condanna, un travaglio, una morte cerebrale. Non c’è un singolo giocatore dell’Asiago che viaggia con un plus/minus superiore allo zero, poiché a questo valore sono fermi Rapuzzi (che gioca sempre) ed altri elementi di contorno (non sempre utilizzati). Anche il Vienna è sulla stessa identica barca dei veneti, mentre il Graz, nonostante le dieci reti subite in più, ha dei giocatori con un +/- decisamente positivo. Cosa sta a significare? Probabilmente l’Asiago spalma la mediocrità della rosa in tutto il suo essere, mentre il Graz ha dei picchi più alti ma dei bassi molto bassi, tendenti all’abisso.

Arrivati a questo punto è sorto il problema, quello che ha fatto saltare il banco. Volevo continuare la ricerca prendendo i tiri subiti dai vari goalie di queste formazioni da bassa classifica, parametrare tutto con altri dati e cercare di trovare un punto, qualcosa su cui ragionare. Però, come qualsiasi portale poco rispettato e in cui le raccolte dati lasciano il tempo che trovano, si è incappati in qualcosa di grottesco: per i Capitals sono presenti solo i dati di Stefan Steen, quello che possiamo considerare il peggior goalie fino ad ora, però lo svedese ha giocato 19 delle 22 partite disputate dal Vienna. Le altre tre? Non è presente alcun dato, goalie fantasma, quindi non è possibile dedurre quanti tiri effettivamente ha subito nella sua totalità la squadra della capitale austriaca. Si ride per non piangere, ormai è una costante. Alla fine sono passatempi, trovano il tempo che trovano, quindi si finisce sempre a concentrare il tempo libero nello studio di ciò che succede oltreoceano. Traslando la ricerca in un altro Continente, vista l’impossibilità di farla in casa propria, sono andato a capire chi potrebbero essere le Vienna, Graz ed Asiago della NHL. La questione è un pelo differente dall’altra parte, perché essere in fondo ad una determinata classifica non sta a significare di essere una squadra scarsa.

L’occhio è caduto sui dati di quella che considero la franchigia più pazza ed esaltante dell’ultimo decennio: Bolts. Una società che, anche nelle avversità, sembra trovare sempre una strada di riuscita, atipica o impervia, per smentire tutti. E’ la squadra che ha subito più reti della Eastern Conference, ben 74 in 21 uscite, e con un back-up forzato che peggiore non si poteva trovare, solo Georgiev degli Avalanche para peggio di Jonas Johansson e tutti e due sotto il 90%. Lo svedese è il portiere che subisce più tiri nell’intera lega, 490 in 17 uscite contro i 435 in 15 di Blackwood degli Sharks, quindi oltre ad un pessimo portiere si trovano pure una difesa un filino poco protettiva. Quest’ultimo punto non deve sorprendere, il gioco dinamico ed offensivo di Tampa ha la grossa variabile del pericolo dietro l’angolo, e fa capire come certe banalità possono risultare delle solide verità in momenti del genere: Vasilevsky è Dio, cementifica e dona tranquillità al terzo difensivo; quando manca cade quasi il palazzo. Si può notare che l’unico difensore solido di questa prima parte di stagione, almeno per quello che possono dire le statistiche, è Darren Raddysh: con un contratto annuale sotto il milione fino al 2026, sembra essere l’unico in grado di bilanciare le linee in cui è presente. Gira prevalentemente con Sergachev, è la linea più usata con 9,4 minuti a partita, e pur subendo meno tiri di quanti ne producono realizzano veramente poco, poiché con loro in campo la squadra ha segnato 4 reti e subito ben 15 teghe. Raddysh gira pure 6,2 minuti a partita con de Haan, un’altra linea con valori positivi: 49 tiri fatti e 46 subiti; 115 tiri corsi fatti e 92 subiti. Gira poco anche con Hedman, nemmeno 1.8 minuti a partita, e pure in questo caso i valori sono positivi. Possiamo dire che uno dei difensori meno pagati, meno risonanti, è il solo che prova a dare una stabilità ad un reparto che sembra vivere di attuale anarchia, libertà di pensiero, spensieratezza. Prima di smettere con il puntare il dito contro il reparto arretrato dei Bolts, altro dato inquietante: è la quarta squadra che concede più tiri in porta dell’intera lega, dietro solo a Sharks/Blue Jackets/Canadiens, con ben 667 e quindi 31,8 a partita. Se noi andiamo a prendere i tiri concessi nella sua totalità, quindi compresi quelli mancati o bloccati, il conteggio sale a 1240. Decisamente inferiore a tutte le altre citate in precedenza, però spostandoci e guardando il tutto da un’altra prospettiva si può intuire un’altra cosa: se ne concedono molto meno nella sua totalità ma a livelli più o meno simili in porta, ciò sta a significare che proteggono male la gabbia. Vero, infatti quasi il 54% dei tiri che concedono agli avversari arriva nel range di Johansson, valore decisamente superiore a tutte quelle squadre nominate in precedenza: Blue Jackets 48%, Canadiens 51, Islanders 49,2 e i derelitti Sharks al 50,5. Per chiudere questo infinito blocco sul reparto arretrato, diciamo pure che è una delle migliori squadre in PK: 84,4%, valore molto alto. Ma come? Che diavolo sta succedendo? Contando che ha pure uno dei PP migliori della lega, vuol dire che in situazioni di parità numerica, a livello difensivo, concede troppo, veramente troppo. Infatti, in 5vs5, è la seconda peggior difesa della lega con 53 reti concesse. Peggio solo i famosi Sharks, fermi a 57.

E perché la consideriamo una squadra in grado di uscire e vincere pure in situazioni così atipiche? Il suo gioco, così debole dietro ma dinamico, gli permette di essere il miglior attacco della Eastern ed il secondo dell’intera lega, dietro quello degli inarrivabili Canucks. Una squadra pazza, una filosofia tutta loro, che quasi sicuramente gonfierà il petto una volta tornato il muro russo.

Buffalo e mozzarelle, turca all’istante

Volevo scrivere qualcosa riguardante qualche campionato europeo, quelle notizie di contorno del Vecchio Continente che interessano a quattro scappati di casa e poco più. Niente, non mi è stato possibile, poiché sono completamente preso da quello che accade oltreoceano. La routine è sempre la solita: mi sveglio, guardo Eliteprospects al fine di trovare qualche strano movimento in suolo amico e poi, anche se qualcosa è accaduto, approdo con il mio shuttle dell’innocenza nell’app della NHL e non ci esco più. Il tempo è limitato, la sveglia suona alle 6:09 ed il tempo a disposizione, per questi contorni di giornata, dura fino alle 6:50. Stop, niente di più fino a pranzo. Quindi, complice anche il disorientamento di inizio giornata, prendo l’appiglio più sicuro, scontato, gradevole a primo impatto. Come quelli che vanno a boschi di notte pur sapendo di andare in pasto al pericolo, alle volte effettuo scelte discutibili, di impercettibile giudizio sensato, come iniziare a guardare un Blackhawks vs Sabres alle 6:17 di un martedì mattina dopo aver messo sul pentolino dell’acqua calda. Il sole fatica ad uscire, il suono di gatti in calore si mischia regolarmente a quello di lame che tagliano il ghiaccio.

In passato mi chiedevo perché perdevo tempo a seguire determinate realtà, come se fosse un problema quello che facevo. Con il passare delle primavere, sarà anche la consapevolezza che si insinua dentro di te con l’avanzare dell’età, ho cambiato domanda: “Per quale motivo non lo fate pure voi”? Ci vuole pazienza e dedizione, vero, oltre a tanta pace interiore ed un’ottima sopportazione al pisolino, però il succo è sempre il solito: se vuoi capire perché quello o questo fa così schifo, devi osservarlo, capirlo, essere in grado di crearti un bagaglio di ricordi su quel determinato contesto. Con Blackhawks vs Sabres è stato difficile, il bagaglio l’avrei voluto buttare dalla finestra in più di un’occasione. Partita al limite della bestemmia, sia per (non pervenuta) tensione che per (non pervenuta) intensità, dove nemmeno i punti di contorno sono stati in grado di catturare l’attenzione: un Kurashev che sembra aver trovato una via, un Bedard che sembra di essere al Grande Fratello da quanto te lo fanno seguire, un Dahlin sempre bello da vedere, il mini Benson che c’è ma allo stesso tempo non c’è. Così, in due giorni di completa dedizione nei momenti morti delle giornate, sono stato in grado di portare a compimento il match in questione. Cosa mi è rimasto? Tante cose brutte di cui non vorrei parlare, forse solo con la presenza di uno psichiatra potrei affrontare il tema. Quella che mi ha maggiormente impressionato è stata la completa assenza di pathos, interesse nel giocare ad un ritmo quantomeno degno. Ancora più di Chicago, una franchigia allo sbando e consapevolmente senza ancora una vera strada da seguire, sono rimasto stranito da Buffalo: spenta, a velocità rallentata, senza alcun tipo di interesse di mettere le mani sulla gara. E’ stata una partita che non consiglierei di recuperare nemmeno a Jason Voorhees se fossi Freddy Krueger.

Lascio con questo dato: Chicago, dopo questa partita, continua ad essere la squadra che ha tirato di meno in porta in tutta la lega. 422 in totale, dietro ai Capitals con 436 e Sharks con 446.

Un cuore mezzo spezzato all’Alvise De Toni

Per quale motivo, in tale blog, si è presentato un oblio di scrittura della durata di dieci giorni? La pagina social è stata aggiornata con relativa regolarità, le solite varie storie di contorno, ed alcuni lavori sono stati fatti per siti terzi del settore. Tutto nella norma, tutto regolare e ad una velocità di crociera costante, quindi perché l’oblio in questo minuscolo spazio governato dalla sola passione? Serve andare indietro nel tempo, di poco, pochissimo, parlare di quanto successo lo scorso 21 Ottobre.

In un’escursione amorosa nella Val Di Fassa, dopo alcune di ore di pace si è tornati indietro accarezzando il passo Fedaia: temperatura ottimale, visuale annebbiata in zona bacino artificiale ed il solito Sottoguda ad aspettarti scendendo verso la provincia di Belluno. Tra un cervo appena morto e certi piccoli cantieri abbandonati alla pausa del weekend, in poco tempo si approda ad Alleghe. La distanza da Sottoguda al centro di Alleghe è di 11 km o poco più. Era da tempo che non ci passavo, anni su anni, ma la sensazione è rimasta la stessa di sempre: una località ferma ad un tempo indefinito, passato, non precisato in qualche momento prima dell’avvento del nuovo millennio. In zone periferiche, di montagna, tali sensazioni ti attanagliano con costanza, è proprio la loro natura ad imporlo, ma ad Alleghe regna una pregna visuale passata. Ho voluto fermarmi, parcheggiare, giusto per capire se quanto visto dal finestrino lo potevo percepire pure a piedi. Mettendo le mani all’interno del lago, la verità è stata ancora peggiore, figlia di un forte senso di piattezza che ti attraversa nel profondo. L’impressione è che Alleghe visitata vent’anni fa ed ora non marca grosse differenze, sembra un libro adagiato su di una libreria abbandonata: fermo al suo posto, sempre vivo ma con molta polvere a coprirlo. A questa visione non si è salvato nemmeno l’Alvise De Toni, che se uno non sapesse che la squadra è attiva pronuncerebbe le solite parole: “Peccato sia stato abbandonato”.

Conosciamo le problematiche attraversate negli ultimi anni ed il ghiaccio fatto, una volta trovato un pertugio per vedere all’interno, mi ha strappato un sospiro di sollievo. Sì, perché pur sapendo che l’attività persiste, comunque ti gira in testa questo possibile abbandono dello stabile. “Sei ancora vivo”, viene da pensare. All’Alvise De Toni ci lego alcuni ricordi passati, quando macinavo chilometri per venire a vedere determinati giocatori: Keith Seabrook per quel poco che è rimasto a Brunico; quando Adam Henrich salutò Asiago ed approdò ad Alleghe, facendo un memorabile dito medio a tifosi terzi; Nicola Fontanive che era sempre un piacere vedere; Vince Rocco e Dave Bowman. Le Civette hanno sempre catturato la simpatia di tifosi esterni, è sempre risultata quel tipo di società per cui fai fatica a remare contro. Ogni palazzo ha il suo spirito, trasmette la sua natura, e quello dell’AdT è impregnato da tutta la gente che ci abita vicino, nella vicinanze, a pochi chilometri di distanza. Riscaldato dalla gente, sostenuto dallo spirito del paese, una cosa che per un passante, in questo preciso momento storico, si fa fatica a vedere. Non è così, lo sappiamo, ma la visione è una grossa fetta della percezione umana. Non deve essere un problema, ognuno ha le proprie difficoltà, come non deve essere presa come un’offesa questa lettera di ragionamenti. Le problematiche nell’hockey su ghiaccio italiano sono note a tutti, sempre le solite: abbandono al proprio destino, privazione di un piano a lunga durata, investimenti da ultimi della classe. Lo stadio che rappresenta l’agordino, ora come ora e visto con il solito occhio di passaggio, può essere una più che veritiera rappresentazione di tutti questi punti. Strappa il cuore.

Sono passate parecchie righe, comunque non è ancora stato detto il motivo per cui si è presentato l’oblio di dieci giorni. Spieghiamolo: tornato a casa, con tutti questi sentimenti, mi sono messo in testa di raccogliere materiale sullo stadio in questione, cercare di creare una serie di racconti/interviste/tuttoquellochesipuòfare per offrire una dignità storica. Una dignità all’hockey su ghiaccio, dal mio piccolo orto che vedono quattro persone, forse nemmeno quelle. Così, senza pensarci, sono andato dritto ai contatti della società. C’ho trovato una genuina disponibilità, pur non capendo dove voleva andare a parare quel pirla che si è permesso di mandare una richiesta così periferica, quasi insensata. Poi, l’oblio, forse la richiesta di informazioni è stata fin troppo proibitiva. Questo oblio, derivato dall’attesa, si è concluso con la scrittura di questo inutile articolo.Un pezzo che è stato scritto anche per far capire che non è stata percepita alcuna offesa, figuratevi, non sono nessuno. E’ uno sport che fa fatica a raccontarsi, è stato abituato a tenere le porte socchiuse.

KAColi, è successo di nuovo

Quante volte capita di andare allo stadio e rimanere rapiti dalle movenze di qualche giocatore? E’ la normalità, forse è proprio il bello dello sport in quanto tale: cogliere certe cose, farle tue, immaginarti in prima persona. L’altra normalità è quello che ne segue, con la coscienza che bussa alla porta e ti parla: “Senti ebete, è già tanto se riesci a stare in piedi sul ghiaccio”. Non si può negare sia il contrario, tutti professori con le doti tecniche di altri, facile a dirsi. Un qualcosa di strano, invece, è andare allo stadio per osservare uno specifico giocatore e rimanere rapiti da un altro. Molto atipico, invece, risulta andare allo stadio per due anni di fila al fine di osservare altro e rimanere rapiti sempre dallo stesso giocatore di dodici mesi prima, non preventivato. Per chi batte a tastiera è successo con Lukas Haudum del Klagenfurt.

Quello in foto è Jan Mursak, il motivo per cui c’era tanto interesse nell’esserci a vedere Asiago-Klagenfurt. Un giocatore osservato nelle passate stagioni tra Berna e Frolunda, rapito già da tempo dal suo modo di giocare. Per tutto il primo tempo l’ho seguito, cercato di studiarlo, ma tranne qualche lampo era in una di quelle serate definibili nel seguente modo: non ho voglia di sudare, vorrei pure non lavarmi dopo la partita. Situazione diversa rispetto a dodici mesi fa, quando il target visivo era Lucas Lessio e salutò Asiago da protagonista. Tra un thè caldo e limitrofe bestemmie di contorno, lo sguardo si adagia sulla partita in quanto tale e scorre come il disco lungo le balaustre. Se il 12 Ottobre del 2022 Lessio guidò con una doppietta un KAC dominante all’Odegar, in questa situazione si è assistito ad una gara più equilibrata, almeno nel risultato. La variabile impazzita che non è cambiata, come già detto, è risultata l’attrazione verso il classe 1997. Un anno fa centro di una terza linea, ora ala sinistra della prima. Perché questo interesse verso tale austriaco? La velocità di pensiero, il fatto che sia stecca sinistra è un plus per gusti personali ed una sensazione che sia in grado di creare sempre qualcosa. Per carità, non accade anche se quest’anno sembra più prolifico rispetto alle passate stagioni, ma alle vibes dello spettatore devono essere dati i giusti spazi in questo blog.

Finito, basta, non ho altro da dire. La condivisione di un atipico doppio aneddoto.

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