Oltre i 70, tanto per l’Asiago quanto per Tampa Bay

Nell’azienda in cui lavoro stanno effettuando della manutenzione che mi ha concesso di stare a casa un paio di giorni, cosa a dir poco gradita ma pericolosa per la vastità di tempo libero a disposizione. Quando si presenta tale tempo libero, in periodi dell’anno freddi o comunque poco propensi a concederti giornate all’aperto in compagnia di bricolage o altro, tendo ad occupare le ore con un mix di cose utili ed inutili: lavori domestici intervallati da letture sulla criminalità organizzata; regolazione delle pastiglie della bicicletta mista a sterminio di cavallette adagiate su balconi in legno; immancabile lettura del quotidiano seguita dall’ascolto dell’ultimo album black che non si calcola nemmeno la madre di chi quell’album l’ha concepito. Ogni cervello umano macina, quello del sottoscritto fa fatica a rimanere in stand-by a fissare il soffitto o un inutile programma televisivo pomeridiano. Il pericolo del vasto tempo libero a disposizione arriva quando pronuncio tale frase: “Vado al computer a fare una ricerca”. Per chi la sente è una condanna, perché sta a significare che la mia latitanza potrebbe durare ore, giorni, settimane, forse mesi. In poche parole dovranno venire a prendermi, perché tali ricerche partono da una semplice base e finiscono con il prendere n^n strade secondarie. Alle volte mi fermo da solo, non capendo più dove cavolo mi trovo. Cose che ho già detto in passato ma sembra più che giusto ribadirlo, poiché chi proseguirà tale articolo troverà un piccolo delirio di una mente umana alla ricerca di un qualcosa di indefinito.

In questa occasione la ricerca voleva riguardare la ICE, lega in cui militano Asiago, Val Pusteria e Bolzano. Il fine era quello di produrre un secondo capitolo della rubrica “Vall(at)i di lacrime”, dedicata al percorso dei giallorossi in questa seconda annata nella lega, dato che il primo scritto batte già cinquanta giorni di vita. Contando che il grosso problema della formazione allenata da Tom Barrasso è la difesa, anche se tutto il resto dell’impalcatura è a dir poco piena di ruggine, sono andato a visionare i plus/minus dei rispettivi giocatori. Con poca sorpresa, veramente poca, ho notato che il secondo peggior giocatore dell’intera lega è un giocatore che ha avuto la C sul petto durante l’assenza di Magnabosco: Lorenzo Casetti, valore -16. Cosa sta a significare? Che con lui in campo è una condanna, un travaglio, una morte cerebrale. Non c’è un singolo giocatore dell’Asiago che viaggia con un plus/minus superiore allo zero, poiché a questo valore sono fermi Rapuzzi (che gioca sempre) ed altri elementi di contorno (non sempre utilizzati). Anche il Vienna è sulla stessa identica barca dei veneti, mentre il Graz, nonostante le dieci reti subite in più, ha dei giocatori con un +/- decisamente positivo. Cosa sta a significare? Probabilmente l’Asiago spalma la mediocrità della rosa in tutto il suo essere, mentre il Graz ha dei picchi più alti ma dei bassi molto bassi, tendenti all’abisso.

Arrivati a questo punto è sorto il problema, quello che ha fatto saltare il banco. Volevo continuare la ricerca prendendo i tiri subiti dai vari goalie di queste formazioni da bassa classifica, parametrare tutto con altri dati e cercare di trovare un punto, qualcosa su cui ragionare. Però, come qualsiasi portale poco rispettato e in cui le raccolte dati lasciano il tempo che trovano, si è incappati in qualcosa di grottesco: per i Capitals sono presenti solo i dati di Stefan Steen, quello che possiamo considerare il peggior goalie fino ad ora, però lo svedese ha giocato 19 delle 22 partite disputate dal Vienna. Le altre tre? Non è presente alcun dato, goalie fantasma, quindi non è possibile dedurre quanti tiri effettivamente ha subito nella sua totalità la squadra della capitale austriaca. Si ride per non piangere, ormai è una costante. Alla fine sono passatempi, trovano il tempo che trovano, quindi si finisce sempre a concentrare il tempo libero nello studio di ciò che succede oltreoceano. Traslando la ricerca in un altro Continente, vista l’impossibilità di farla in casa propria, sono andato a capire chi potrebbero essere le Vienna, Graz ed Asiago della NHL. La questione è un pelo differente dall’altra parte, perché essere in fondo ad una determinata classifica non sta a significare di essere una squadra scarsa.

L’occhio è caduto sui dati di quella che considero la franchigia più pazza ed esaltante dell’ultimo decennio: Bolts. Una società che, anche nelle avversità, sembra trovare sempre una strada di riuscita, atipica o impervia, per smentire tutti. E’ la squadra che ha subito più reti della Eastern Conference, ben 74 in 21 uscite, e con un back-up forzato che peggiore non si poteva trovare, solo Georgiev degli Avalanche para peggio di Jonas Johansson e tutti e due sotto il 90%. Lo svedese è il portiere che subisce più tiri nell’intera lega, 490 in 17 uscite contro i 435 in 15 di Blackwood degli Sharks, quindi oltre ad un pessimo portiere si trovano pure una difesa un filino poco protettiva. Quest’ultimo punto non deve sorprendere, il gioco dinamico ed offensivo di Tampa ha la grossa variabile del pericolo dietro l’angolo, e fa capire come certe banalità possono risultare delle solide verità in momenti del genere: Vasilevsky è Dio, cementifica e dona tranquillità al terzo difensivo; quando manca cade quasi il palazzo. Si può notare che l’unico difensore solido di questa prima parte di stagione, almeno per quello che possono dire le statistiche, è Darren Raddysh: con un contratto annuale sotto il milione fino al 2026, sembra essere l’unico in grado di bilanciare le linee in cui è presente. Gira prevalentemente con Sergachev, è la linea più usata con 9,4 minuti a partita, e pur subendo meno tiri di quanti ne producono realizzano veramente poco, poiché con loro in campo la squadra ha segnato 4 reti e subito ben 15 teghe. Raddysh gira pure 6,2 minuti a partita con de Haan, un’altra linea con valori positivi: 49 tiri fatti e 46 subiti; 115 tiri corsi fatti e 92 subiti. Gira poco anche con Hedman, nemmeno 1.8 minuti a partita, e pure in questo caso i valori sono positivi. Possiamo dire che uno dei difensori meno pagati, meno risonanti, è il solo che prova a dare una stabilità ad un reparto che sembra vivere di attuale anarchia, libertà di pensiero, spensieratezza. Prima di smettere con il puntare il dito contro il reparto arretrato dei Bolts, altro dato inquietante: è la quarta squadra che concede più tiri in porta dell’intera lega, dietro solo a Sharks/Blue Jackets/Canadiens, con ben 667 e quindi 31,8 a partita. Se noi andiamo a prendere i tiri concessi nella sua totalità, quindi compresi quelli mancati o bloccati, il conteggio sale a 1240. Decisamente inferiore a tutte le altre citate in precedenza, però spostandoci e guardando il tutto da un’altra prospettiva si può intuire un’altra cosa: se ne concedono molto meno nella sua totalità ma a livelli più o meno simili in porta, ciò sta a significare che proteggono male la gabbia. Vero, infatti quasi il 54% dei tiri che concedono agli avversari arriva nel range di Johansson, valore decisamente superiore a tutte quelle squadre nominate in precedenza: Blue Jackets 48%, Canadiens 51, Islanders 49,2 e i derelitti Sharks al 50,5. Per chiudere questo infinito blocco sul reparto arretrato, diciamo pure che è una delle migliori squadre in PK: 84,4%, valore molto alto. Ma come? Che diavolo sta succedendo? Contando che ha pure uno dei PP migliori della lega, vuol dire che in situazioni di parità numerica, a livello difensivo, concede troppo, veramente troppo. Infatti, in 5vs5, è la seconda peggior difesa della lega con 53 reti concesse. Peggio solo i famosi Sharks, fermi a 57.

E perché la consideriamo una squadra in grado di uscire e vincere pure in situazioni così atipiche? Il suo gioco, così debole dietro ma dinamico, gli permette di essere il miglior attacco della Eastern ed il secondo dell’intera lega, dietro quello degli inarrivabili Canucks. Una squadra pazza, una filosofia tutta loro, che quasi sicuramente gonfierà il petto una volta tornato il muro russo.

Il volo d’oltreoceano tra Upper, Lower e */’^% limit

Di base, in questo periodo dell’anno sono già immerso nel mondo hockeystico e la cosa non sempre mi è andata a genio. Devo essere onesto: fino a quando la temperatura non mi impone di tirare fuori un pile, la voglia di hockey su ghiaccio non è che suona con insistenza il campanello di casa. Può essere stupido, altezzoso e poco professionale, ma di questa professione non ne faccio un lavoro quindi frega poco di tale concetto, però resto dell’idea che svariati mesi dell’anno non hanno bisogno di tale sport. “Siamo a metà Luglio e mi manca il suono delle lame sul ghiaccio“. Vai in un palazzetto, fatti una pattinata con il ghiaccio che cede dopo trenta secondi. Che poi quest’anno l’estate è stata atipica, perché abbiamo potuto assistere a dell’hockey giocato. Voi, io poco. Non sono stato in grado di offrire molta attenzione ai PO d’oltreoceano quando fuori vedevo anziani morire di asfissia o giovani baldi corridori produrre sudore come fossero grondaie. Tornando al concetto iniziale, questo periodo è sempre quello in cui inizio ad avvicinarmi con insistenza e la voglia di informarmi sale a livelli poco contenibili. Il problema è che di base ci sono partite in corso, quindi la possibilità di recuperare e studiare con calma dati non viene fatta con la giusta attenzione. E’ una continua corsa al recupero: “Chi è quello? Che contratto ha firmato? Da che college viene? Da che trade è arrivato? Di che colore ha i capelli sua moglie?”. Ora, in questo atipico arco che passa da Novembre a Dicembre, si ha la possibilità di disporre le carte sul tavolo e leggerle con assoluta calma.

Indi per cui, siamo a fine Novembre e mi è venuta una voglia matta di analizzare le situazioni salariali della varie franchigie. Ho sempre avuto questa ossessione di analisi extra ghiaccio, cercare di capire come ragiona una franchigia e capire il motivo per cui un giocatore come Joe Thornton non si è ancora ritirato. Scherzo, lunga vita a JT. Le ricerche che effettuo non seguono un iniziale filo logico, lo trovano strada facendo, però parto sempre da un punto fermo: la schermata riguardante i salari delle varie franchigie. Direte: “Diamine, stai studiando quell’ambito, mi sembra normale”. Non avete tutti i torti.

Foto tratta da fearthefin.com (blog degli Sharks nel portale SBNation)

Amando il sistema sportivo americano, fatto di incroci contrattuali e progetti a lungo termine di una certa complessità, non si può non essere attratti delle ruote del carro. Studiare gli attuali relitti, che nel giro di qualche anno potrebbero essere pepite d’oro, è una delle cose più affascinanti che si possono fare fuori dal ghiaccio. Prendiamo ad esempio i New Jersey Devils, la terza peggior squadra della passata Eastern Conference e con all’attivo una sola partecipazione ai PO (con uscita al primo turno) negli ultimi otto anni. Novantasei mesi di ricostruzione sono tanti, però tutto può avere un senso, anche se in casa Devils, nel corso degli anni, le cose sembrano essere sfuggite di mano, poi riprese, poi sfuggite di nuovo: l’addio di un pilastro come Parise, il ritiro di Elias, la voglia matta di Kovalchuk (pesa ancora a salario, in minima parte fino al 2024, per via del buyout), alcune scelte che si sono rivelate sbagliate (Schneider, un altro a cui è stato offerto il buyout), ecc. In molti mettono dentro anche la trade fatta per portare a Newark P.K. Subban, ma in questo caso non mi trovano dalla stessa parte e provo a spiegarne il motivo: il ragazzo era in fase calante, vero, però dobbiamo conteggiare il fatto che una franchigia deve arrivare ad un lower limit per quanto riguarda il tetto salariale, quindi in una situazione di rebuilding è più che accettabile e normale offrire scambi, contratti e quant’altro dal dubbio senso giusto per riempire il cap. Capisco che per un abitante europeo è un qualcosa senza senso, viviamo il rapporto tra sport e business in modo del tutto diverso, però questo lato è uno di quelli più belli del panorama americano. Perché? Si può notare come una franchigia è in grado di risorgere dalle ceneri. Da queste ceneri i Devils stanno cercando di uscirci, un passo alla volta, e con il 51×7 offerto a Nico Hirschier hanno lanciato il primo amo a lunga gittata. Con il pay-roll più basso della lega, 17 milioni sotto l’upper limit ma con ancora sette posti liberi a roster, sinceramente non mi è ancora chiaro cosa vorranno fare nel prossimo futuro: abbiamo già parlato di Hirschier, però tutti i contratti avranno una scadenza massima nel 2023. Il macigno di Subban, che pesa 9 all’anno, andrà in scadenza nel 2022 e con lui ben altri sei giocatori: Hughes (uno che dovrai pagare profumatamente), Crawford (uno che lascerà, quindi dovrai andare a scovare un back-up, avendo già ora 35 anni ed innalzando molto la media), Zacha (un altro che dovrai prolungare e pagare una cifra più che giusta), Butcher (un altro che dovrai pagare il giusto). Al termine della stagione che a breve partirà andranno a scadenza tutti gli altri: da Gusev al pilastro storico Zajac, dallo scorer Palmieri al solido Murray appena arrivato dai Jackets. Cioè, capiamoci: le strade per questi Devils sono molteplici e non mi stupirebbe smantellassero tutto, ripartendo da quasi zero. Quello che non me lo fa pensare è la firma di Hirschier, perché va bene che i soldi sono i soldi, però uno sportivo è di base competitivo ed essendo il primo tassello atto alla ricostruzione (così era quando fu scelto nel 2017) sarebbe triste rendersi conto che non lo eri per nulla e che ora ripartirà tutto da capo, non facendoti amare la competizione perché continuerai a tankare o simile. Esistono le trade, per carità, ma mandare via un Hischier da poco firmato, metti caso nel 2022, sarebbe un estremo fallimento dirigenziale decennale.

Situazione contrattuale dei New Jersey Devils alla fine del Novembre 2020 (spotrac.com)

Se a studiare gli attuali relitti si trova soddisfazione perché si cerca di capire come faranno a tornare in cima, altrettanto affascinante è studiare la posizione di chi sui gradini del podio si ritrova in questo preciso momento. Alle volte è ancora più affascinante, perché sembra di offrire una sfida: “Riuscirai a stare in quella posizione? Cosa farai per starci? Che programmi hai? Quanto pensi di starci e, se vorrai starci un paio di anni, dopo cos’hai in mente per ricostruire?”. Di base lo sport americano ti impone il concetto fisso della ricostruzione, perché è difficile rimanere costantemente ai piani alti e sempre competitivi. Devi inanellare una serie di botte di culo, concedetemi la spinta verbale, che ti permettano di essere in grado di creare un piano vincente anche nelle difficoltà. Guardate gli Spurs nel basket, per dire. Detto ciò, chi può essere una squadra che è da tanto tempo ai piani alti e che prima o poi dovrà scendere? Tampa Bay Lightning, i campioni in carica. Loro sono stati un chiaro esempio di come una perfetta ricostruzione può portare all’apoteosi, anche se dopo alcuni fallimenti e passi falsi: indimenticabile il lavoro di Steve Yzerman come GM, dal 2010 al 2018, che ha lasciato al suo successore un albero di natale perfetto da abbellire con alcune sciccherie. Ora, essendo una delle squadre più grosse del panorama, si ritrovano a gestire dei contratti pesanti e devono fare i conti con dei problemi che le altre squadre pagherebbero pur di averli. Prendiamo il caso Tyler Johnson, una stagione sottotono ma un attaccante da 25 reti a stagione: il suo contratto scadrà il 2024 e per liberare spazio salariale, essendo due milioni sopra l’upper limit e con ancora quattro slot da riempire, i Bolts stanno cercando in tutti i modi di tradarlo o tagliarlo. “Un problema che vorrebbero avere le altre squadre” è un must per chi è sul podio: hai troppo, paghi tanto, hai alti dividendi, il livello dei giocatori è alto ma qualcosa, nel bene o nel male, sei costretto a tagliare, lasciare per strada. Il rinnovo triennale di Mikhail Sergachev lo prendo come esempio per un altro motivo: un difensore del genere, così dotato tecnicamente, in una squadra in ricostruzione si sarebbe portato a casa un contratto da sette o otto anni. Nei Bolts, dove è una pedina come le altre, ha firmato per un 3×14,4. Il problema delle squadre con un “attuale” status da big, è che a roster hanno i pilastri e i lori mastodontici contratti: Vasilevski fino al 2028, Kucherov fino al 2027, Stamkos fino al 2024, Hedman fino al 2025, McDonagh fino al 2026. Potete capire che, nel caso andasse male qualcosa, infortuni o altro, il castello di carte cadrebbe e sarebbero cazzi amari. Per questo motivo spulcio sempre come queste franchigie sono messe a scelte future. Di base, per mantenere un determinato livello, le squadre spendono picks pur di arrivare a dei giocatori in grado di mantenerlo quel livello. Se andiamo a vedere la situazione dei Bolts è perfetta: hanno tutte le picks da qui al 2023, tranne la seconda del 2021 e per il settimo giro, sempre del 2021, ne possiedono ben tre, per quel poco che possono valere.

Fonte: capfriendly.com

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