Balaustre protette nel cantone bernese

Alle volte, dei semplici dati producono voli pindarici di una certa caratura. Non dico abbia fatto l’Hawkins della situazione ma la pochezza delle reti subite dal Berna mi hanno fatto guardare, osservare, cercare, analizzare alcuni dettagli. Dopo 40 gare disputate, la squadra della capitale ha subito solamente 69 reti. Poche? Decisamente poche. La miseria di 1,69 reti a partita ed in ben ventidue occasioni ha subito una singola rete o è stata in grado di tenere la porta inviolata.

Dopo il picco della stagione del 2012/2013, in cui a fine stagione si erano laureati campioni, il Berna è tornato ad avere la miglior difesa dalla stagione 2016/2017 (ancora campioni) e da quel momento non ha abbandonato il primato. C’è da dire che il titolo arrivò anche tre stagioni fa quando subivano più di tre reti a partite ed erano la nona migliore difesa della lega, quindi tali calcoli e riscontri vi consiglio di prenderli con le pinze. Comunque, due anni fa erano stati 114 i gol subiti in 50 partite, quindi 2,3 subite a partita, mentre nella passata stagione 112 in 50, indi per cui 2,24 ogni sessanta minuti. Il periodo inizia e coincide con l’arrivo di Calle Andersson e Jeremie Karmezin: due difensori molto diligenti, con il primo propenso a produrre anche in zona offensiva a differenza del secondo. Per il resto, presenze difensive assortite già da un pò di tempo: Blum dal 2014, Burren dalle giovanili, Gerber pedina storica, Krueger dal 2013 e Untersander dal 2015.

Quindi perché quest’anno stanno subendo così tante meno reti, quando il core è praticamente lo stesso e la qualità era già elevata? La risposta potrebbe trovarsi dentro il corpo di Adam Almquist, il ventisettenne arrivato in estate dal Frölunda per produrre l’ulteriore salto di qualità. Giocatore dal grande minutaggio, tanto che nella partita analizzata contro il Losanna, vittoria per 5-2 ad inizio del mese in corso, è apparso in quattro delle prime cinque linee scese sul ghiaccio. Giocatore dalle grandi capacità di comprensione e con un’innata capacità di allungare il bastone e rubare qualsiasi tipo di disco con assoluta eleganza.

Screenshot estratto da nlicedata.com

Parlavamo di minutaggio: risulta essere il decimo difensore più utilizzato nella massima serie svizzera, in una squadra in cui molti giocatori possono produrre un’elevato minutaggio. Però sarebbe riduttivo affermare che il merito è solo del giocatore svedese, poiché tutte le linee hanno una diligenza ben precisa: difficilmente qualcuno entra in zona offensiva con il disco, restano sempre arretrati, forse uno taglia al centro del ghiaccio in determinate occasioni, coprono distintamente le balaustre e non sbagliano mai la pattinata. Anche gli attaccanti two-way aiutano moltissimo, però c’è da dire che con linee difensive del genere diventa anche più facile aiutare.

Screenshot tratto da YouTube

Nella foto si può notare l’aiuto del capitano Simon Moser in zona difensiva, causato da un errore in PP per eccesso di sicurezza: Blum forza la giocata, perde il puck in zona offensiva e crea il buco, diligentemente coperto dal capitano aiutato dai consigli di Krueger. Come si nota, sempre dalla foto, collassa troppo dalla parte del tedesco e lascia spazio a Dustin Jeffrey per cercare il tiro. Un errore che di certo non cancella la qualità della copertura ed il piano difensivo del Berna. Perchè, sì, la forza di questa squadra è la compattezza e la capacità di non andare mai in difficoltà anche se tartassata. Nei primi minuti della sfida contro il Losanna, la squadra che crea il gioco più fluido della lega e che ha il miglior pace su 60’ di gioco (vedi successiva foto), la pressione è stata tanta, la rete subita lo dimostra, ma la difesa ha sempre dato la parvenza di tranquillità e diligenza nel seguire il copione.

Screenshot dal sito nlicedata.com

A conclusione, dopo tutta l’esaltazione di tale difesa, c’è da sottolineare un altro valore aggiunto che ha permesso alla banda di innalzarsi al rango di migliore fortezza. Parlo di Leonardo Genoni, a difesa della gabbia, guardate caso, proprio dalla stagione 2016/2017.

Difesa a tre e stats da interpretare per questi Islanders

Durante l’estate in molti hanno pianto l’addio di John Tavares, affermando a più riprese che sarebbe stata la fine per questi Islanders. Indubbiamente il nativo di Toronto ha migliorato una franchigia che da sempre naviga nelle sabbie mobili, ma di certo non ha permesso un cambio di tendenza così repentino e la singola semifinale (2016) della Eastern Conference era ed è qua a ricordarci la verità. La vera svolta potrebbe averla data un allenatore in grado di capire come far giocare una squadra con del talento contenuto, non molta fantasia, anche se potrebbe ripagare in regular season ma non quando il gioco si fa duro.

Tramite la visione di due partite, vs Ducks (20/01/2019) e vs Blackhawks (22/01/2019), ho cercato di capire come mai questi Islanders siano in vetta alla Metropolitan Division e dietro solo i Bolts nella Eastern Conference. Sinceramente l’ho capito in parte e molto lo devo al contrasto tra RS e PO, due mondi totalmente differenti e in cui si gioca dell’hockey quasi agli antipodi. Il roster guidato da Barry Trotz ha un preciso gameplay ed è molto semplice: difendere con diligenza ed attaccare da opportunisti. Con il senno del poi, l’addio di JT potrebbe aver dato i suoi frutti, in positivo, poiché dire ad un Mathew Barzal di sacrificarsi in questo modo credo risulti più facile che dirlo ad una star diligente ma già affermata e con il suo status. Un sacrificio ripagato da ambo le parti per la giovane stella, poiché risulta essere l’unico giocatore in grado di poter prendersi pause dal gameplay e liberare la propria creatività. Impossibile ingabbiarla, lo sa bene anche l’ovetto kinder del Manitoba.

Foto tratta da lighthousehockey.com

Quindi, questa diligenza difensiva da dove arriva? Da una semplice constatazione di chi la squadra l’ha presa in mano solo da sei mesi: non siamo i più forti, non siamo i più tecnici, quindi invertiamo la rotta per cui siamo anche la peggior difesa della NHL e per prima cosa copriamoci sempre e comunque. Come? Semplice: quando gli altri impostano l’azione offensiva noi ci facciamo trovare sempre, sempre, in tre a coprire la linea blu. Ed è clamoroso come lo facciano con costanza e ad occhi chiusi, ormai il meccanismo è oliato alla perfezione, tanto che nelle due partite che ho visionato solamente in un’occasione ho assistito ad un cambio di registro, anche grazie all’intuizione degli avversari.

Screenshot dal Game Center

Essendo una squadra molto diligente e che non forza praticamente nulla, una situazione del genere, con l’attaccante (difensivo) non ancora in zona neutra e di fronte all’avversario (offensivo), è ben difficile vederla in questa versione degli Islanders. Tale situazione si è creata nel terzo finale della partita, poi finita ai rigori, quando sul risultato di 2-2 gli ospiti hanno cercato di andare fuori dagli schemi al fine di trovare la rete del vantaggio con una delle loro tante “azioni offensive da opportunisti”. Hanno deragliato, diciamo così, perché ci tengo a ripetere, per l’ennesima volta, che praticamente non lo fanno mai. Intendo, deragliare dai binari.

Screenshot dal Game Center

L’attacco dei Blackhawks legge bene l’errore e lo stesso che porta su il disco, all’altezza della linea blu fa da screen al fine di togliere dall’azione quel “terzo difensore” di cui tali Islanders tanto necessitano. Una voglia di strafare nella zona offensiva che gli ospiti si trovano costretti a pagare, cercando di recuperare il tutto con affanno e senza esiti positivi. Di sicuro Barry Trotz non era al settimo cielo in panchina, ci metterei la mano sul fuoco.

Screenshot dal Game Center

Alex DeBrincat, l’uomo dello screen, taglia verso il centro ghiaccio avendo totale libertà di tiro. Casey Cizikas, in continuo ritardo, ormai non ci può fare più nulla e cerca di recuperare la posizione con scarsi risultati. Per fortuna degli Islanders, il potente diagonale sul secondo palo del classe 1997 finisce fuori di pochi centimetri. Un errore degno di nota, quello degli Islanders, ma comunque l’unico lampante in 120′ di gioco che ho visionato e questo ha un qualcosa di straordinario ripensando alla squadra dell’anno scorso, impacciata e non così diligente.

Perché dubito di questa squadra, pur idolatrando la compattezza mista a diligenza che mettono sul ghiaccio? Reputo che questo roster, se non verrà inserito un pizzico di fantasia prima della Deadline, con l’arrivo della post-season si possa sfaldare. Non mi ha offerto l’idea di essere in grado di aumentare il ritmo, di fare un altro step, ciò che appunto verrà chiesto nella parte più importante dell’anno. Ora sono belli compatti, difficili da sorprendere, ma quando il ritmo aumenterà volete dirmi che dei Capitals o dei Bolts della situazione non saranno in grado di scardinare questa sicurezza e sciogliere tutto il bello che abbiamo visionato fino a questo punto della stagione?

Come ultimo punto vorrei analizzare le linee, sia offensive che difensive, tramite il semplice paragone tra CA60 (Corsi Against parametrato sui 60′, quindi tutti i tiri ricevuti, bloccati, deviati, in porta, ecc) e CF60 (Corsi For parametrato sui 60′, quindi tutti i tiri effettuati, bloccati, deviati, in porta, ecc). A primo impatto tali risultati vi sorprenderanno, pensando a dove sono in classifica, ma pensandoci sopra due minuti capirete che rispecchiano quel gioco che ho analizzato, in breve, nei punti precedenti.

Foto tratta dal profilo tableau public di Sean Tierney

Grafico X/Y, dove su Y troviamo i tiri subiti e su X i tiri effettuati. Le virtuali linee dividono in quattro la ricerca: dull (noiosa), bad (brutta), good (buona), fun (divertente). Come potete notare, di effettive linee offensive ritenute buone in casa Islanders non ce ne sono. E’ un dato che trae un pelo in inganno, poiché per il gioco che offrono (contenimento degli avversari, quindi mai pallino del gioco in mano) è normale che siano così. La migliore risulta essere la seconda linea (Beauvillier/Barzal/Bailey), dove i tiri effettuati (50,58 x 60) sono poco superiori di quelli subiti (46,74 x 60). La prima linea (Lee/Nelson/Eberle) subisce in minima parte, più o meno +2 di tiri subiti. La forza di questo roster è la profondità di diligenza anche nella terza e nella quarta, che in tale grafico risultano noiose, sono le due più in alto a sinistra, ma guardando le partite ho notato che fanno alla perfezione il loro dovere e segnano. L’infortunio di Andrew Ladd ha fatto saltare qualche abbinamento, quindi quando tornerà probabilmente dovrebbe prendere il ruolo di Dal Colle in terza.

Foto tratta dal profilo tableau public di Sean Tierney

Dal grafico si può notare che anche in zona difensiva quasi tutte le linee sono considerate noiose o brutte. Boychuk/Leddy risulta essere la prima e la coppia regina, infatti mantengono un bilanciamento più che giusto tra noiosità e bruttezza (45,13 fatti e 49,93 subiti). Con Thomas Hickey fermo ai box alcune coppie sono saltate, certo che il grafico rispetta una precisa sensazione avuta durante la visione dei due match: la terza linea composta da Mayfield/Toews è veramente intrigante, infatti con loro sul ghiaccio la squadra produce più che subire. Ahimè il classe 1994 Toews è stato rimandato in AHL. Si spera di rivederlo in breve tempo.

Per concludere un recap delle statistiche di coloro che proteggono le gabbie. Questi Islanders avranno un gioco organizzato, una precisa difesa a tre, un gioco quasi mai centrale ma la coppia di portieri sta facendo un lavoro di pregevole fattura. Da considerarsi una delle migliori coppie, se non la migliore, della stagione in corso.

Foto tratta da hockey-reference.com

Elias, figlio di Mikael e della comprensione del gioco

L’ultima settimana di Giugno ed i primi giorni di Luglio sono campo minato se si vuole mantenere gli occhi lontano da giornali, smartphone, dispensari di notizie. Sono i giorni del Draft, degli scambi e della free agency, dove vengono messi tasselli su tasselli al fine di migliorare, peggiorare, modellare una rosa. Nel Draft datato 2018 la trade maggiore avvenne tra gli Hurricanes e i Flames: Dougie Hamilton, Michael Ferland e Adam Fox ai primi, Noah Hanifin e Elias Lindholm ai secondi. Dopo metà stagione il risultato è dalla parte di Calgary, visto il primo posto nella Western Conference ed una chimica di squadra che non si vedeva da tempo. C’è anche da dire che può piacere o meno il gioco che offrono, costantemente diligente ma fatto più di on/off che di regolare fluido propositivo.

Non voglio parlare dello scambio nel suo insieme ma del solo pezzo svedese presente nel mezzo: Elias Lindholm. Presumibilmente scaricato dalla franchigia con sede a Raleigh per un semplice motivo: “Sei forte, mi piaci, ma ora che devo rinnovarti il contratto non sono sicuro sia sensato darti quei soldi che probabilmente vorrai chiedermi”. In poche parole, e i dati erano dalla loro parte, non lo consideravano un giocatore in grado di passare il tetto dei cinquanta punti. Una visione che non hanno avuto gli stessi Flames e con il nuovo allenatore Bill Peters (proprio in arrivo dagli Hurricanes) hanno deciso di firmalo per sei anni a 4,85 milioni di $ diligentemente diluiti fino al 2024. Contando che il tetto dei cinquanta l’ha già passato a metà stagione regolare, oltre ad aver creato una perfetta chimica con Johhny Gaudreau e Sean Monahan, in quel di Calgary le mani se le stanno strofinando con assoluta nonchalance.

Foto tratta da: zimbio.com

Ma chi è lo svedese classe 1994 cresciuto in quel di Gavle? Per cercare di capirlo ho deciso di seguirlo come un segugio in due partite: contro un top team (Sharks, 31/12/2018) e contro un team in evidente difficoltà (Red Wings, 02/01/2019). Due partite in cui ha finito con gli stessi numeri: una rete e due assist. Delle partite in cui è sembrato spesso nell’ombra, credo sia proprio il suo modo di giocare, dove mi ha fatto percepire una conoscenza del gioco rimarchevole e fatta di posizionamenti più di corse ad alto regime.

La cosa che mi ha sorpreso maggiormente, oltre a quelle già citate, è la consapevolezza di poter rubare qualsiasi disco senza alcun contatto fisico. In più di un’occasione, specialmente in una gara più sentita come quella contro San Jose, ha cercato di intercettare dischi con i difensori avversari in uscita dal loro terzo amico. Come si può notare dallo screenshot sottostante, il recupero fatto in quelle condizioni lo porta subito al taglio verso la gabbia avversaria. In questa occasione sbaglierà, non riuscendo a concludere in backhand. Può essere considerata una stupidaggine, un movimento che cercano tutti, qual’è effettivamente, ma con lui si percepisce sicurezza anche se non approda a porto sicuro.

Screenshot tratto dal Game Center

Probabilmente trasmette questa sicurezza perché si ha l’impressione abbia tutto sotto controllo anche nell’ombra, che fare i movimenti elementari lo portino sempre ad essere pronto e sul luogo giusto. Guardandolo di sfuggita sembra strano possa aver raggiunto il traguardo dei cinquanta punti a metà stagione regolare: non carica o lo fa il minimo, non è rapido, non stuzzica, non accelera, non si accende ad intervalli alterni. No, mantiene una costanza che parte dal primo ed arriva all’ultimo secondo di gioco. Ovvio, ci sono alti e bassi, vuoi per avversario che per direzione di una partita o giornata storta, ma questo credo sia il suo punto forte. Resta sempre attento, o quasi sempre, compiendo spesso interventi banali ma che alla fine dei conti possono risultare molto utili. Nell’immagine sottostante si può notare un altro intercetto in zona neutra, un disco in direzione dell’Evander Kane di turno che avrebbe trovato un varco centrale al fine di arrivare in porta.

Screenshot tratto dal Game Center

Si contraddistingue anche per un costante gioco da two-way, dove da centro torna sempre indietro al fine di aiutare e coprire eventuali linee di passaggio. Trasla il suo modo di difendere, fatto di intercetti, posizionamenti e non certo di gioco fisico ai danni degli avversari, per tutta la lunghezza del campo da gioco. Questa sua meticolosità nel posizionarsi come da copione prestabilito, quasi da libro studiato e digerito, alle volte sembra non gli permetta di andare fuori dalla sua comfort zone. Nell’immagine che segue si nota che non legge il mal posizionamento di Noah Hanifin (55), non accelera o produce qualche movimento brusco, non è da lui, permettendo all’avversario di trovare una semplice rete.

Screenshot tratto dal Game Center

Se contro gli Sharks ha giocato sempre da centro, delegando a Sean Monahan il ruolo di ala, contro i derelitti Red Wings si sono scambiati i compiti ad intervalli alterni. In partite sulla carta più semplici, dove anche una sconfitta potrebbe andare bene, provare alcuni esperimenti non può far che bene. Da ala è risultato essere un giocatore leggermente più fisico, da balaustra in alcuni casi, gravato dall’onere di coprire con diligenza il centro del ghiaccio sia nelle ripartenze del Brent Burns o dell’ Erik Karlsson di turno che nel terzo difensivo. Se contro la franchigia della California era arrivato solo un tiro in porta, contro una delle peggiori squadre della lega ha sì trovato la porta solo in tre occasioni ma in altrettante, se non di più, ha cercato la giocata di troppo che gli ha precluso il risultato. Di seguito una posizione che contro un top team come quello degli Sharks non sarebbe mai stato in grado di raggiungere.

Screeshot tratto dal Game Center

Partita che trova il tempo che trova, dove ha più senso guardare gli esperimenti, tanto da una parte che dall’altra, che il tabellino. Detto ciò, lo svedese di Gavle anche contro una modesta squadra, specialmente in quei pochi minuti che è stato posizionato da centro, ha proposto il suo gioco: posizionamenti, intercettazioni, visione two-way. Sempre nell’ombra.

Regola 153 e possibile cambio di giudizio

Partiamo a rilento, cercando di analizzare il tutto con occhio abbastanza neutro. Le cariche illegali ci sono sempre state e sempre ci saranno, poiché di teste calde abbonderà in continuazione questo mondo, quindi dal mio punto di vista si dovrebbe effettuare una regolamentazione categorica e univoca per tutti. Da un decennio a questa parte si presenta in continuazione il problema, qualcuno alza la mano per risolverlo e passano tempi infiniti in cui alla fine tutto sembra essere stato messo nella giusta posizione. Dopo, immancabilmente, il problema si ripresenta.

E’ di poche settimane fa la notizia di una rivisitazione riguardante le cariche subite da giocatori non in possesso di disco. Non credo sia una baggianata come in molti affermano, segue una buona coscienza, ma allo stesso tempo è fin troppo estrema nella sua semplicità. Raggiunge un limite fin troppo minimo da interpretare, prevenire o anche solo da studiare per adattare il proprio gioco. La regola dice ciò:

Rule 153-Late Hite was proposed as a means of differentiating between a player committing a late hit versus a player committing an interference penalty or finishing a check, as well as making a clear emphasis of what constitutes a “clean hit” versus a “late hit

E già in questa presentazione della regola sorgono i primi punti di domanda. Quando una carica si può considerare pulita o meno? In verità lo percepiamo tutti quando è da fare o meno, senza doppi fini o meno, però il limite è molto sottile. Se mi trovo ad aggirare la porta al fine di fare una carica ed il difensore trova il tempo giusto per scaricare il disco, la mia carica, magari arrivata dopo poco meno di un secondo, è da considerarsi illegale? In poche parole, la regola ti chiede di fare uno switch di pensiero in pochi decimi di secondo ed in condizioni ben precise potrebbe essere quasi impossibile. Percepisco che spesso verrà applicata in maniera non corretta, a discrezione delle sensazioni di un qualsiasi arbitro presente, e nel prossimo futuro subirà l’ennesima revisione.

Il problema, dopo tutta questa introduzione, è comunque un altro. Si tratta dell’incapacità di infliggere pene severe quando vengono effettuati interventi di una certa pericolosità. Non mi vergogno nel dirlo, rispetta la realtà dal mio modesto punto di vista, ma nell’ambiente hockeystico il machismo non resta chiuso all’interno del palazzetto. In qualsiasi ambiente, dall’Europa al Nord America, sembra fluttuare sempre la solita frase: “Dai fighetta, tirati su e smettila di piangere”. Il problema è che puoi essere grande, grosso e portentoso quanto vuoi, alzare sette macchine in palestra, ma l’estremità alta del corpo umano resterà sempre piccola, fragile e delicata. Provo stranezza nel leggere parole di ex atleti con importanti danni cerebrali quasi vantarsi nel dire “giocavo anche vedendo le stelle o con la vista sfocata dopo una carica alla testa”. Dopotutto, l’ambiente che vivi ti modella. E’ sempre stato così.

Quindi ben vengano regole al limite dell’estremo come quella prima analizzata. Sempre meglio esagerare con la prima bozza, per poi magari modellarla a proprio piacimento se ritenuta troppo severa. Giusto per riprendere il filo, il problema maggiore risulta essere non avere un metro comune nel corso del tempo. Il gioco può cambiare, velocizzarsi, mutarsi, ma una cosa sbagliata e senza senso resta da punire nello stesso modo in due contesti storici distanti anche quarant’anni. Non dico ciò a caso, perché vorrei portarvi all’attenzione due interventi molto simili accaduti con una differenza di sette anni uno dall’altro.

Foto tratta dal canale YouTube “asiagohockey1935”

Come si può notare dalla foto, Phil Pietroniro (difensore dell’Asiago) non sta guardando il disco e la postura del corpo è ben verticale al fine di andare a colpire la testa di Marko Virtala (attaccante del Val Pusteria) con il gomito destro. Il giocatore è in possesso del disco, quindi non rientra nella casistica della nuova regola IIHF 153, ma utilizzo la durezza dell’intervento (il giocatore crollerà a terra impattando il ghiaccio con il volto) come paragone con l’esempio che seguirà. Avvenimento recente, datato 3 Gennaio 2019, con il difensore dell’Asiago penalizzato con un 5′ e penalità partita. Quante partite resterà ai box? Ancora non è noto.

Foto tratta dal canale YouTube “AllegheHockey”

Siamo nel Marzo del 2012, serie da post-season tra Alleghe e Pontebba. Manuel Da Tos (attaccante dell’Alleghe) è nel terzo centrale, scarica il disco nello specchio della porta e Brian Ihnacak (attaccante del Pontebba) effettua una carica ancora più brutta di quella analizzata in precedenza. Come si ben vede dal fermo immagine, l’attaccante nativo di Toronto è ben piegato sulle gambe al fine di impattare con violenza il volto dell’avversario e con un disco già dalle parti del goalie friulano. 5′, penalità partita ed una vergognosa squalifica della durata di una singola giornata.

Come si è potuto notare, pur in situazioni di gioco differenti, risultano essere due cariche dichiaratamente illegali. Che ci sia possesso di disco o meno, dovrebbero essere trattate nello stesso modo: squalifiche di svariate giornate a chi effettua interventi del genere. Sappiamo bene tutti che non è ancora così, non c’è un metro di paragone fisso e costante, quindi si torna al vero problema: l’incapacità di infliggere pene severe quando vengono effettuati interventi di una certa pericolosità. Se non si parte da questo punto, non ha senso glorificare o denigrare piccole o grandi modifiche di regolamento.

Cos’è Zamboni-O-Rama?

Salve a tutti e benvenuti in questo semplice, nascosto, per nulla sponsorizzato blog riguardante l’hockey su ghiaccio. Inizio subito ad usare la prima persona, perché da solo sono e da solo resterò (a meno di pirotecnici mutamenti storici), quindi mi sbilancio ad affermare un’altra cosa oltre a quella già detta: probabilmente parlerò pure di hockey inline, anche se su quest’ultimo tema non garantisco nulla.

Cos’è Zamboni-O-Rama? Uno spazio figlio della passione che cercherà di offrire una visione un pelo differente di questo sport. Pur non avendo molti siti riguardanti questo bellissimo sport, parlo per quanto riguarda la penisola italiana, tutti trattano l’argomento pubblicando notizie, comunicati stampa o brevi articoli. Non si percepisce analisi, sguardo critico o voglia di spiegare questo o quello. Se un extraterrestre volesse imparare qualcosa su tale sport, basandosi solo sulla stampa italiana, dopo qualche settimana sarebbe ancora al punto di partenza. Senza alcuna spocchia o voglia di insegnare come un docente di ferro, cercherò di spiegare ciò che vedo guardando dentro le serrature delle porte. Spesso cadrò nel banale e nelle ripetizioni, specialmente per chi conosce già la materia, ma sono sempre stato dell’idea che ripetere il già sentito può solamente migliorare la comprensione.

Vorrei spiegare la struttura del blog, con che cadenza usciranno gli articoli o perché la macchina sotto l’occhio destro di Brian Ihnacak non potrà mai andare via. Non lo farò, poiché non ho una risposta a tutto ciò. La passione ed il tempo a disposizione spesso non camminano lungo la stessa via.

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